Vacanze segrete nella villa di Gayelord Hauser,
medico - dietologo delle dive hollywoodiane
Quando Greta Garbo, la “divina”, arrivava a Taormina sotto falso nom (di Gaetano Saglimbeni)
Gayelord Hauser, dietologo delle dive hollywoodiane degli anni Quaranta, è stato personaggio di spicco nella Taormina del secondo dopoguerra. La sua villa sulla rotabile per Castelmola, di stile più californiano che mediterraneo, riuniva nobildonne e baroni, attrici ed esteti da salotto, miliardarie dell'alta finanza e scrittori famosi, pittori, musicisti. Frequentatori abituali, Roger Peyrefitte, Tennessee Williams, Truman Capote, il pittore Henry Faulkner con capretta bianca (sua inseparabile compagna di passeggio, di salotto, ed anche di camera da letto), la miliardaria americana Gloria Vanderbilt, attrici del nome di Marlene Dietrich, Rita Hayworth, Joan Crawford.
C'era anche Greta Garbo, ma sui frequenti soggiorni in casa Hauser della “divina” Garbo, alle cui angosce sentimentali non era certamente estraneo il medico dietologo, calava il sipario di un ferreo riserbo . “ Taormina incanta, affascina, seduce”, spiegava il padrone di casa agli ospiti, “ma soprattutto ringiovanisce”. Le serate a villa Hauser erano favolose ed eccitanti. D'estate, si cenava nel grande giardino che guardava l'Etna ed il mare al lume di lampioncini in ferro battuto, ed i camerieri, tutti giovani e prestanti, servivano ai tavoli in pantaloncini corti e a torso nudo. Si faceva l'alba, ballando sulle note di un'orchestrina a plettro. Quando arrivò a Taormina , nel 1946, Gayelord Hauser aveva 52 anni. Bell'uomo, alto, asciutto, solo i capelli imbiancati anzitempo.
Tedesco della Baviera trapiantato in America , amava definirsi “cittadino del mondo”. Aveva casa e studio anche a Londra (tra le sue illustri clienti, la duchessa di Windsor ). Ma i suoi “salotti”, ambiti da dive del cinema e nobildonne, erano due: Hollywood e Taormina . A Taormina scrisse Vivere giovani, vivere a lungo, un best-seller di quegli anni, che gli procurò fama, ricchezza e un monumento all'università di Tokio. I giapponesi glielo eressero nel 1957, per le sue “alte benemerenze nel campo della dietologia”, e lo invitarono pure a presenziare alla cerimonia dello scoprimento. Un onore riservato a pochi grandi della terra, quello di vedere in vita il proprio monumento: Hauser ebbe questo rarissimo privilegio.
Le sue ricette? Alle clienti (soprattutto alle non più giovani) consigliava melasse, yogurt, sedano, carote, lattughe, cetrioli; ma lui (anche quando era già avanti con gli anni) si lasciava tentare spesso da piattoni di spaghetti al pomodoro e caponata alla siciliana, che innaffiava con il buon vino rosso dell'Etna. Ad uno di quei pranzi capitò un giorno un astuto reporter, il quale scattò di nascosto una fotografia e fece una montagna di soldi vendendola ai giornali di tutto il mondo.
Hauser ci rise sopra. A chi, molti anni dopo, gli ricordava quell'infortunio (come definirlo altrimenti?), il dietologo rispondeva serafico: “E chi ha mai detto che, mangiando spaghetti, non si viva a lungo restando giovani… Spaghetti e sedano, spaghetti e carote, cetrioli, pomodori. Io sono arrivato così, giovanissimo, alla soglia dei 90 anni…”.
Greta Garbo arrivava a Taormina sotto falso nome: per tutti (anche per gli amici più intimi di Hauser, non soltanto per la servitù) era miss Harriet Brown. C'era, naturalmente, chi ne conosceva la vera identità: tra gli altri, il giovanotto (Peppe Caltabiano, taorminese) che faceva da cameriere-autista al dietologo, e l'antiquario Giovanni Panarello, del cui negozio miss Brown era frequentatrice abituale (dei magazzini, si dovrebbe dire, più che del negozio, perché a lei, il pezzo d'arte, piaceva andarlo a scovare tra cataste impolverate). Ma chi ne conosceva la vera identità fingeva di non sapere.
Doveva fingere, perché così volva l'ex diva dal volto di sfinge, sempre più enigmatica ed inquieta, imprigionata in un mito al quale aveva tentato di sottrarsi scomparendo dalla scena nel pieno fulgore della carriera (a soli 36 anni), ma che proprio con i suoi atteggiamenti, quel suo ossessivo fuggire da un capo all'altro del mondo, con il terrore per lo sguardo e la curiosità della gente, continuava ad alimentare.
Taormina fu per un trentennio (dal 1950 al 1979) il suo “rifugio segreto”, nel quale questa straordinaria “statua d'alabastro”, che era stata una delle più affascinanti e spietate amatrici dello schermo, viveva uno strano “rapporto d'amore” con il medico che a Hollywood le aveva insegnato a cibarsi di melasse e sedano crudo. Uno strano e ambiguo rapporto, dal momento che, notoriamente, Gayelord Hauser era omosessuale; e lei “assolutamente incapace di amare un uomo”, a sentire le confidenze-rivelazioni di chi della “divina” fu innamorato alla follia e si illuse di essere da lei amato.
Si è scritto molto (ed i giudizi spesso contrastanti hanno contribuito ad accrescere il mito ) sulla tumultuosa vita sentimentale di Greta Garbo. E' stata definita “ sfinge dal cuore di ghiaccio” ed “emblema delle passioni”, “bellezza senza sesso” ed “amante nefasta”, “volto di neve e di solitudine” e “divoratrice di uomini”. Ma è sempre molto difficile, quando in discussione è il mito (uno dei grandi miti del cinema di tutti i tempi), stabilire quale influenza, nei giudizi sulla donna, possano avere avuto quelli sull'attrice e sui personaggi da lei interpretati.
“La Garbo-donna”, spiegava Roland Barthes , “offre una sorta di idea platonica della creatura umana. Il suo appellativo di ‘divina' mira indubbiamente a rendere, più che uno stato superlativo di bellezza, l'essenza della sua persona corposa, scesa da un cielo in cui le cose sono formate e definite nella massima chiarezza”. E François Mauriac : “Questa creatura, reale e inaccessibile, desta ogni tipo di desideri. Essa è là, viva e pronta ad offrirsi a milioni di uomini; ma se uno dei comuni mortali, preso da follia o semplicemente dal desiderio di toccarla per rendersi conto di come è fatta davvero, si precipitasse ad abbracciarla, non troverebbe che la tela tesa sul vuoto, e non abbraccerebbe che il nulla”.
Meno suggestivo, rispetto allo straordinario fascino della donna, quello dell'attrice: ce ne rendiamo conto rivedendo i suoi film in televisione. Intensissima la sua partecipazione emotiva, straordinariamente fotogenico quel suo volto, di un magnetismo inquietante; ma il portamento, austero, solenne, regale, quasi fosse impegnata sempre a recitare il ruolo di regina , era piuttosto legnoso, di una staticità impressionante (“statua d'alabastro”, la definì Zeffirelli), con pose fin troppo manierate, sempre uguali, andatura e gesti che, in certe scene, rasentavano la goffaggine. E la voce, a detta degli americani che la sentirono, aveva poco di ammaliante: “roca, mascolina nei toni, profonda nelle risonanze” (quella della nostra Tina Lattanzi, che doppiò i suoi film in italiano, ha un calore ed un colore che l'originale certamente non aveva).
Non era, insomma, il meglio che l'Europa potesse offrire al cinema di Hollywood: molto più brave come attrici, e non meno affascinanti come donne, la tedesco-prussiana Marlene Dietrich e la svedese (come Greta) Ingrid Bergman, che approderanno oltre oceano qualche tempo dopo. La stessa America , in quegli anni, esibiva sicuri talenti come Bette Davis e Katharine Hepburn. Ma i grandi miti (vedi Rodolfo Valentino) non sempre si fanno con i grossi talenti: per il mito-Garbo, la donna e il personaggio contarono certamente più dell'attrice. “Grande attrice, brava, intelligente, la Garbo? Che lo sia o no, poco importa: possiede un volto straordinario e tanto basta”, il giudizio del “ragazzo terribile” della letteratura americana Truman Capote.
Ma torniamo ai suoi grandi amori, veri o presunti. I biografi dicono che Greta amò veramente, di un amore completo, un solo uomo (ma per poco): il regista svedese Mauritz Stiller, che l'aveva scoperta (commessa diciassettenne, spettinata e un po' goffa) in un negozio di abbigliamento a Stoccolma e ne aveva fatto una diva, a Hollywood.
Finì male quel grande amore, per il povero Stiller, il quale morirà solo e infelice in Svezia, a 45 anni, mentre il mito-Garbo furoreggiava in tutto il mondo. Greta (che non aveva mosso un dito per difendere il suo anfitrione dagli attacchi dei padroni del cinema americano che l'avevano obbligato a tornarsene in patria) era sul set, a Hollywood , il giorno della morte di Stiller.
Il suo “volto di sfinge” non si scompose per nulla, alla notizia che arrivò dalla Svezia. Le era accanto, sul set, John Gilbert, due divorzi alle spalle, l'attore rubacuori più amato dalle donne d'America, che con la “divina” faceva coppia fissa anche nella vita. I giornali, mobilitati dalla poderosa macchina pubblicitaria hollywoodiana, parlavano di nozze imminenti. E le nozze furono regolarmente fissate da Gilbert: nel municipio di Santa Ana , in Messico. Solo che Greta, pochi muniti prima di pronunciare il “sì”, chiese di potersi allontanare qualche minuto per andare alla toilette e non si fece più viva. Fu un duro colpo per l'attore più amato dalle donne d'America, il quale ne ebbe anche la carriera, non soltanto la vita, distrutta. Si risposò e divorziò altre due volte (forse solo per tentare di recuperare il prestigio incrinato da quel clamoroso “no”), ma non riuscì a dimenticare Greta. Morirà a 39 anni, solo e disperato come Stiller, invocando il suo nome (a sentire i biografi).
Gayelord Hauser comparve accanto a Greta nel 1940, a Hollywood . Aveva 46 anni. Lei ne aveva 35, e un anno dopo, nel 1941, pianterà clamorosamente il cinema. La diva, dopo la rottura con Gilbert, era passata da un “amore impossibile” all'altro: chiaramente, cercava “amicizie maschili senza complicazioni erotiche” (parole di un innamorato respinto). Per qualche anno era stata legata al direttore d'orchestra Leopold Stokowski, omosessuale, molto più anziano di lei, e Stokowski aveva poi sposato la miliardaria americana Gloria Vanderbilt, per divorziarne pochi mesi dopo.
Anche per il rapporto della Garbo con Hauser (come già per quello con Gilbert), si parlò di imminente matrimonio. Una grossa agenzia giornalistica, la International News Service, rivelò che lo stesso Hauser, al quale evidentemente l'unione con la diva famosa interessava anche pubblicitariamente, aveva scritto in anteprima la cronaca delle nozze e l'aveva ceduta in esclusiva, con la clausola che avrebbe dato telefonicamente lo “sta bene” per la pubblicazione il giorno del matrimonio (da celebrare in gran segreto).
Gayelord e Greta partirono, in effetti, per Nassau , poi in crociera alle Bahamas . Ma la telefonata alla agenzia non arrivò mai: la “divina”, si disse, aveva avuto l'ennesimo ripensamento. Pochi giorni dopo, le agenzie di tutto il mondo davano una notizia ben più clamorosa: la Garbo aveva deciso di lasciare il cinema, per sempre: a 36 anni, dopo avere interpretato appena 24 film. Sola e ricchissima, lasciò la modesta residenza hollywoodiana nella quale era sempre vissuta (e della quale erano in pochi a conoscere l'indirizzo) per trasferirsi a New York , in un appartamento di condominio nell'elegante quartiere dell'Est Side, a Manhattan , nella 52.ma Strada.
Sette camere, piene di mobili antichi, pezzi d'arte e quadri d'autore, cinque delle quali perennemente chiuse: lei viveva in due, cucina e servizi, con i suoi due gatti (che avevano nomi italiani, Litrozzo e Mezzolitro), il cagnolino bastardo Molly, il pappagallo Polly, e una cameriera pagata solo per un paio di giorni alla settimana. Andava lei stessa a fare la spesa, al supermercato. E la mattina usciva presto per portar fuori il cagnolino a fare pipì sul marciapiede. Viaggiava molto, tra l'America e l'Europa. Si legò (o si illuse di potersi legare) ad altri uomini, passando ancora da un “amore impossibile” all'altro. I grandi amori del dopo-Hollywood?
Adrian , ex costumista della Metro Goldwyn Mayer, che aveva lasciato Hollywood qualche anno dopo di lei, notoriamente omosessuale; un uomo d'affari europeo d'origine russa, George Schlee, marito della celebre sarta newyorchese Valentina, al quale Greta affidò incautamente molti dei suoi risparmi, perdendo poi tutto alla morte di lui; il famoso “fotografo delle regine” Cecil Beaton. E da quest'ultimo aspirante marito deluso verranno alcune delle clamorose rivelazioni sulle “tendenze particolari” della diva che era stata sugli schermi simbolo della grande seduttrice, sulla sua “assoluta incapacità di amare un uomo, con un rapporto vero, autentico”.
Dirà Beaton: “Greta è stata amata anche dalle donne e sente l'amicizia per le donne; ma sa che soltanto un uomo può darle sicurezza, protezione, essere un punto di riferimento per la sua vita di eterna fuggiasca. Quest'uomo, che probabilmente ha troppo idealizzato, non l'ha mai trovato e difficilmente potrà trovarlo”.
Riferirà pure, il fotografo Beaton, le parole che si sentì dire dalla “divina” al momento del commiato, nel 1948: “Lasciamoci, sono una donna impossibile”. Molto più numerose, a sentire le “pettegole” di Hollywood , le “amicizie” con donne: dall'ex “viso d'angelo”
Louise Brooks all'attrice di origine tedesca Marie Dressler, alla cameriera negra Hazel Washington che incontrò una notte su un marciapiede di New York e salvò da un tentato suicidio nell'East River, alla giornalista Barbara MacLean, alla sceneggiatrice cinematografica Mercedes de Acosta, con la quale si appartava spesso nella casetta-eremo acquistata a Klosters, in Svizzera; e un gruppetto di nobildonne europee che la ospitarono a lungo in castelli tedeschi e residenze dorate sulla Costa Azzurra.
Ebbi occasione di vederla due volte, già anziana, magra e lunga come una pertica, la faccia incartapecorita (quel poco di faccia che si riusciva a vedere sotto il cappello a tese larghe e al di fuori dei grandi occhiali scuri). La prima volta, a New York, mischiato al gruppetto di fotografi che sostavano all'angolo della 52.ma Strada per riprenderla con la borsa della spesa: uscì, in una non fredda giornata del primo inverno newyorchese, infagottata in un ruvido maglione, gonna lunga e giaccone al vento, sciarpa e cappello di lana, stivali al ginocchio (da maschio, per la misura dei suoi famosissimi piedoni numero 44).
La seconda volta, a Taormina , in una delle sue ultime “vacanze segrete”, sempre infagottata nei suoi abiti assurdi, cappellaccio e occhialoni, sciarpa di lana al collo (era primavera), un giaccone di pelle marrone sui pantaloni neri. Ritrovò Gayelord Hauser nel 1950, la “divina” Garbo, nove anni dopo la fuga da Hollywood . “Andai io a prenderla all'aeroporto di Catania , insieme al dottor Hauser”, racconterà l'ex cameriere-autista Caltabiano. “Non sapevo allora chi fosse in realtà: il dottore mi disse che si chiamava Harriet Brown.
Abbracci calorosissimi, in aeroporto e per tutto il tragitto da Catania a Taormina : si capiva che c'era un affetto immenso, tra il medico e la sua amica… “Ebbe due stanze per sé, miss Harriet, in un'ala della villa: una camera da letto, con guardaroba e servizi, e un salottino. Disponeva anche di un terrazzo tutto per sé, recintato e nascosto ad occhi indiscreti, in cui avrebbe potuto stendersi per prendere il sole. Ma lei non amava il sole: non l'ho mai visto in costume da bagno. Non amava neanche il mare. Quando il dottore vendette la villa sulla rotabile per Castelmola e ne prese una al mare, a ridosso della spiaggia di Letojanni, le sue abitudini non cambiarono per nulla. Anche lì se ne stava isolata nel suo terrazzo, sotto la cannicciata che la riparava dal sole”.
Arrivava a Taormina quasi sempre in primavera, qualche volta in inverno, mai d'estate. “Arrivava con la faccia bianca come l'alabastro”, è ancora il racconto dell'ex autista di casa Hauser, “e con quella faccia bianca se ne andava, anche se passava un mese o due a Taormina . Andava in giro da sola, si arrampicava per viottoli fino a Castelmola, felice di non essere riconosciuta da nessuno. Il dottor Hauser le aveva assicurato che neppure noi che vivevamo nella villa sapevano chi fosse realmente. In realtà sapevamo, e molti amici del dottore, come noi, sapevano, ma fingevamo tutti di non sapere….
“Ricordo che una volta bussò alla porta della villa un giornalista, venuto dal Nord, e chiedeva della signora Garbo. Fu accolto in salotto con molta cordialità dal padrone di casa in persona. ‘La Garbo, qui? Mai vista da queste parti', rispose il dottor Hauser, con il più disarmante dei suoi sorrisi. E quello se ne andò, scusandosi per il disturbo. Era in casa, quel giorno, la signora Garbo. Il dottore l'avvertì e lei si rifiutò di uscire per tre settimane. Aveva una paura matta di incontrare i giornalisti, la signora…”
L'ultima vacanza di Greta a Taormina risale al 1979, anno in cui Gayelord Hauser vendette anche la villa di Letojanni. “La vendette con la morte nel cuore”, raccontarono gli amici taorminesi. Fu la improvvisa scomparsa del suo boy-friend a fargli prendere quella dolorosissima decisione. Si chiamava Frey Brown, l'amico, ed etra molto più giovane di lui. Promettente attore di Hollywood negli anni Sessanta, aveva abbandonato la carriera per seguire Hauser a Taormina. “Troppe cose mi ricorda questa villa, alla quale sono legati i giorni più felici della mia vita” , disse malinconicamente il dietologo agli amici.
“Senza Frey, non mi è più possibile restare qui: sentirei ancora più forte il dramma”. Si ritirò a Los Angeles , in casa di un nipote, dove morì nel 1983, a 89 anni. Anche Greta era amica di Frey. Era con lui che se ne stava rintanata, per molte ore del giorno e soprattutto della sera, quando il salotto di villa Hauser era pieno di ospiti. Miss Harriet Brown non voleva vedere nessuno. Solo di rado apparve in salotto: una volta per salutare un vecchio antiquario londinese, suo amico da sempre; un'altra per far festa a Gloria Vanderbilt, la miliardaria americana che aveva sposato il suo ex amico Stokowski.
Per altri ospiti non si mosse. Le Marlene Dietrich, le Hayworth, le Crawford, non volle mai vederle. Erano già dive sulla cresta dell'onda negli anni Quaranta, quando lei, la “divina”, piantò Hollywood . Non volle mai incontrarle, le sue ex colleghe, né a Taormina né altrove. Morì in un ospedale di New York , nella primavera del 1990, a 85 anni. Di lei, alla unica nipote (figlia della sorella più giovane, anche lei attrice, morta in Svezia giovanissima), è rimasto un patrimonio valutato intorno ai 25 miliardi di lire.
A noi, l'immagine di quel suo volto bellissimo, enigmatico e inquietante, immortalato in 24 famosissimi film che fanno parte della storia di Hollywood , ma che al cinema (al grande cinema) hanno dato poco: molto poco, a pensarci bene. C'è una frase, tra le poche da lei dette e le pochissime arrivate sulle pagine dei giornali, che colpisce particolarmente. “A Hollywood ”, confidò la “divina” ad una delle sue amiche europee, “ho sprecato gli anni migliori della mia vita”. Sprecati, i sedici anni che le servirono per accumulare fama e miliardi? E gli altri, i cinquant'anni del dopo-Hollywood, vissuti senza far nulla, con la rendita dei miliardi accumulati in soli sedici anni di lavoro, li impiegò meglio?
Certo, rivedendo quelle vecchie pellicole (e lei lo faceva spesso), aveva più d'un motivo per dirsi insoddisfatta, se non proprio delusa. Ma con chi poteva prendersela, se non con se stessa? A Hollywood , aveva tutto: poteva scegliere i copioni, i registi, i partners che voleva. Altre attrici, senza aureola e con minori opportunità, hanno dato al cinema autentici capolavori: attrici che avevano davvero qualcosa da dare. E chi impedì poi alla mitica Garbo, nel mezzo secolo del dopo-Hollywood, di accettare proposte serie che le venivano da Orson Welles e da Visconti, da Pabst e dal suo grande connazionale Ingmar Bergman?
Non aveva più voglia di lavorare, la “divina”, o non si sentiva all'altezza delle attese del pubblico, ritenendo di aver dato al cinema più di quello che poteva dare? La verità è che i “grandi miti” si possono costruire anche con attori mediocri; ma l'arte, quella vera, ha bisogno di artisti veri. Questo, la “divina” Garbo lo sapeva: lo aveva capito benissimo. Attrice mediocre, non stupida.