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La verità mi raccontata: parlano gli amici italiani
della “divina”, Massimo Gargia e Tina Lattanzi

“ERA IMPOSSIBILE AMARLA: GRETA GARBO
ERA AVARA CON I SOLDI E CON IL CUORE”

Così dice Massimo Gargia, l'unico italiana che per anni ha frequentato l'attrice e che ha raccolto le sue confidenze – «Accanto a lei si aveva la sensazione di essere scalatori incapaci di raggiungere la vetta» – «Ha visto il padre morire per mancanza di denaro e par questo era diventata un'accanita risparmiatrice» – Come la ricorda Tina Lattanzi, l'attrice che doppiava i suoi film

di MATILDE AMOROSI
e LUCIANO VERRE

Roma, aprile
Nell'isolamento in cui visse dopo l'abbandono del cinema, Greta Garbo, l'attrice scomparsa a New York a ottantaquattro anni, ebbe pochissimi amici che possono ricordarla. Tra questi c'è un italiano, Massimo Gargia, famoso esperto in relazioni pubbliche internazionali. Tra lui e la grandissima attrice scomparsa, infatti, è esistito un rapporto profondo, basato sulla stima e sull'affetto reciproci. Massimo ne parla con immensa emozione, perché, spiega, Greta Garbo è stata una donna indimenticabile, nei suoi pregi e nei suoi difetti.
     «La conobbi nel 1970 a Parigi, dove abito per buona parte dell'anno», racconta Massimo Gargia. «Eravamo a casa della nostra comune amica Cucile de Rothschild, in occasione di un pranzo a cui partecipavano molte donne giovani e belle. Greta era vestita modestamente, con i capelli lisci lavati in casa e assolutamente senza trucco. Eppure riusciva a emergere, a sedurre per la sua incantevole femminilità che resisteva al tempo e ai dispiaceri.
     «Rimasi letteralmente incantato dai suoi sguardi intensi, dai gesti di inimitabile eleganze e anche dalla sua estrema umiltà. Era stata il più grande mito della storia del cinema, ma sembrava non rendersene conto. A tratti mostrava persino una certa insicurezza, il bisogno di sentirsi protetta. La Garbo mi dette subito una sensazione di grande fragilità, una caratteristica che accresceva il suo fascino e che il successo non era mai riuscito a mutare. Per lei, lo disse chiaramente, il passato era un capitolo chiuso. Il ricordo della sua leggenda, quindi, non poteva colmare la sua solitudine. A parte Cécile e qualche altro raro amico, Greta non aveva altri affetti sui quali contare. Per scelta, naturalmente, visto che se solo lo avesse desiderato, anche se aveva già superato la sessantina, avrebbe ancora potuto conquistare un uomo. Dopo il nostro primo incontro sperai di rivedere Greta e l'occasione si presentò quando Cécile mi nvitò a trascorrere un periodo di vacanza nella sua villa di Saint-Rapha ë l, sulla Costa Azzurra. Da quel momento entrai nella ristretta cerchia di amici della “divina”, cinque o sei in tutto il mondo».

INSIEME A MILANO
Milano. Greta Garbo, la “divina” del cinema americano scomparsa il 15 aprile, e l'amico napoletano Massimo Gargia fotografi all'aeroporto di Milano nel 1972 all'arrivo dell'attrice in Italia per una vacanza. «Greta per me», dice Gargia, oggi noto come l'organizzatore del premio internazionale “The best” «fu una vera donna e una grande amica. Ci siamo frequentati per venti anni». Greta Garbo, il cui vero nome era Loysa Greta Gustafsson, era nata il 18 settembre 1905 a Stoccolma, i Svezia. Dopo un'infanzia poverissima trascorsa facendo i lavori più umili, cominciò a posare come modella per un pittore e a 17 anni esordì in un film svedese intitolato “Come sbagliarsi”. A 20 anni fu chiamata a Hollywood e cominciò l'ascesa verso il successo. Per il suo primo film americano intitolato “Il torrente” guadagnò 400 dollari e lavorò con Ricardo Cortez, cui diede il i primo bacio della sua carriera.

NON VINSE MAI L'OSCAR
Hollywood (Stati Uniti). Greta Garbo a 29 anni, nel film “Velo dipinto”, che interpretò al fianco di George Brent e Herbert Marshall. A quel tempo l'attrice svedese era già famosa in tutto il mondo come la “divina”, dal titolo del film “La donna divina” che aveva girato nel 1927 accanto a Lars Hanson. Era l'attrice contessa da produttori e registi grazie alle sue memorabili interpretazioni in film come “La carne e il diavolo” accanto a John Gilbert, l'attore che l'amò fino a tentare per lei il suicidio, “Anna Karenina”, “Orchidea selvaggia”, “Mata Hari” accanto a Ramon Novarro del quale si innamorò senza essere riamata, “Grand Hotel”, “La regina Cristina”, “Margherita Gautier”, “Maria Walewska”, “Ninotchka”. Eppure, nonostante la luminosa carriera, Greta Garbo non vinse mai l'Oscar. «Hollywood non ha voluto mai premiarmi», diceva l'attrice «ma in fondo neanche io ci tenevo».

Il PIU' BEL REGALO

     «Come riuscì a conquistare la simpatia della Garbo?», chiedo.
     «Penso che a vincere la sua profondo diffidenza mi abbia aiutato la mia origine napoletana», spiega Massimo Gargia. «Mi piace ironizzare su tutto e sdrammatizzai fin dal primo momento il rapporto con Greta, trattandola come una donna normale, anziché come un mostro sacro. Pur di strapparla da un piedistallo che in fondo lei rifiutava, arrivai anche a prenderla affettuosamente in giro. Per esempio, quando entrava in una stanza, destando inevitabilmente la curiosità della gente, io, per dissipare il suo immancabile disagio, esclamavo: “Ecco la nostra grande diva: facciamo un minuto di silenzio”.
     A quel punto Greta scoppiava a ridere e il resto della serata trascorreva serenamente. Per me il suo sorriso era il più bel regalo perché dimostrava un abbandono, una fiducia, non da “divina”, ma donna in carne e ossa».
     «La Garbo le fece qualche confidenza particolare?», domando.
     «Facemmo lunghe conversazioni poiché ci rincontrammo anche a New York, dove lei abitava», racconta Gargia. «Posso quindi ricostruire la tappe essenziali della sua inquieta esistenza. Aveva avuto un'adolescenza tormentata da un complesso di inferiorità da cui non riuscì a liberarsi nemmeno quando era all'apice del successo.
     «A sedici anni, infatti, Greta era una ragazzina grassoccia, con il viso cosparso di brufoli e si sentiva decisamente brutta. Mi raccontò che il padre, Karl, faceva il netturbino a Stoccolma e che da bambina, insieme alla sorella Alva e al fratello Sven, pativa quasi la fame. La madre lavorava come sguattera in un ristorante per mandare avanti la famiglia. Vivevano in una misera casa e per mancanza di spazio erano costretti a dormire in cinque nello stesso letto.

   

DALL'INFANZIA AGLI ULTIMI GIORNI
Hollywood (Stati Uniti). Il volto di Greta garbo in età diverse. Nella foto in alto, a sinistra, l'attrice quando aveva 17 anni a viveva in Svezia, il suo Paese, facendo la modella per i pittori, e, a destra, a 25 anni, quando stava cominciando ad affermarsi a Hollywood e aveva girato film come “Orchidea selvaggia” e “Destino”. Nella foto qui sopra, a sinistra, Greta Garbo a 35 anni, quando era all'apice della sua carriera artistica e tutto il mondo l'amava e l'adorava, e, a destra, Greta com'era qualche giorno prima di morire il 15 aprile. Il corpo dell'attrice è stato cremato a New York e la ceneri, raccolte in una piccola urna, sono state sepolte in Svezia nella tomba di famiglia, a Skogskyrkogarden, nella zona meridionale di Stoccolma, la città dove la Garbo era nata nel 1905.

ERA UNA DONNA RICCHISSIMA
Hollywood (Stati Uniti). Un'immagine sconosciuta di Greta Garbo: l'attrice è ritratta a 22 anni, durante un provino per il film “La carne e il diavolo”. Erano gli anni in cui Greta Garbo era considerata la “divina” del cinema americano e i produttori avevano deciso di mostrarla al pubblico in un ruolo “sexy”. Ma poi pensarono che un'immagine provocante come questa avrebbe potuto distruggere la splendida carriera dell'attrice. Così la sequenza non venne girata e la foto “sexy” di Greta è rimasta per anni negli archivi della MGM, la potente Casa di produzione cinematografica americana che amministrava il lavoro dell'attrice. Greta Garbo ha fasciato un patrimonio di miliardi: possedeva case in Svizzera, in Francia, e l'intero quinto piano dell'elegante stabile di Manhattan, a New York, dove ha vissuto fino al giorno della morte, più una preziosissima collezione d'arte che include anche numerosi Renoir. Unica erede di questa fortuna sarà la sessantenne Grae Reisfield, figlia di Sven Gustafsson, fratello di Greta.

     «”Non ricordo di essere mai stata giovane, davvero giovane, come tutte le altre ragazze”, diceva Greta che non dimenticò mai l'estremo squallore della sua vita prima di diventare una star del cinema. La sua adolescenza fu segnata da un dramma che la feri profondamente, spingendola a dare un'importanza esagerata al danaro. Quando aveva quattordici anni Greta perse il padre, perché non riuscì a essere ricoverato con la necessaria rapidità in ospedale.
     «”Per due lunghi, terribili giorni restammo in attesa che i medici accertassero se eravamo in grado di pagare tutte le cure mediche”, mi raccontò la Garbo. “Papà aveva la febbre altissima e io ebbi la sensazione che potesse morirmi accanto per mancanza di assistenza. Infatti, quando finalmente ottenne il ricovero per polmonite, era talmente indebolito che si spense in poche ore. Fu in quell'occasione che decisi che da grande non sarei mai stata povera”.

«NON SONO NESSUNO»

     «Greta mantenne quella sua promessa, e a sedici anni si mise subito a lavorare, prima da un barbiere, insaponando il viso ai clienti, poi come commessa nei grandi magazzini. Riusciva già a mandare avanti la famiglia, quando fu scoperta dal regista Mauritz Stille, che si innamorò di lei lanciandola nel mondo del cinema».
     «La Garbo le parlò mai della sua vita sentimentale?» chiedo.
     «Si, e ascoltandolo mi feci la convinzione che fosse una donna profondamente insoddisfatta», racconta Massimo Gargia. «La sua ossessione, anche quando la conobbi, era di poter essere schiacciata dal suo mito. Temeva di non essere amata per la donna che realmente era, ma per la sua immagine pubblica. Questa idea, col passare degli anni diventò una vera e propria nevrosi che rendeva difficile avere un rapporto umano con lei. Provai a spiegarle che era impossibile prescindere dalla sua leggenda, ma che essa arricchiva piuttosto che svilire la sua personalità. Ma lei non mi ascoltava e pretendeva che la gente avvicinandola dimenticasse che era stata la “divina”. Con Greta tutto era problematico.
     «Ricordo che per convincerla ad accettare un invito a cena, fui costretto ad assicurarle che nel ristirante scelto da me nessuno l'avrebbe riconosciuta, ma inevitabilmente, a metà serata, una signora venne a chiederle l'autografo. Vidi la Garbo impallidire, alzarsi di scatto e domandare con aria dolente all'ammiratrice: “;a perché ci tiene ad avere la mia firma? Io non sono importante, non sono nessuno”.

PASTI FRUGALI

     «Un altro ostacolo a una relazione sentimentale serena con Greta erano le sue abitudini da igienista e i suoi orari veramente impossibili ai quali pochi uomini avrebbero potuto adattarsi. Si alzava tutte le mattine alle sette, faceva una lunga passeggiata e a mezzogiorno in punto consumava un pranzo a base di pesce e verdura. Cenava altrettanto frugalmente alle sette di sera per andare poi a dormire alle dieci, un rituale davvero difficile da accettare e a cui lei non avrebbe mai rinunciato.
     «Pensi che una volta, a Parigi, tentò di convertirmi alle sue abitudini coinvolgendomi in una specie di maratona podistica da un capo all'altro della città. Alla fine ero stremato e giurai a me stesso che non ci avrei riprovato mai più»
     Massimo demitizza la “divina” con una punta di umorismo tipicamente partenopeo, ma torna serio, addentrandosi nei particolari della travagliata vita sentimentale dell'attrice.
     «Purtroppo Greta, anche a causa del suo carattere, non fu mai felice in amore», racconta. «Ebbe diverse relazioni; una, famosa, con John Gilbert, il “grande amatore” dell'epoca, ma non volle sposarlo. “Solo un imbecille potrebbe accettare la condizione anomala di marito di una diva”, diceva.
     «Anni dopo ebbe una storia, anch'essa finita male, col celebre musicista Stokowsky, che per lei lasciò la moglie, e infine si innamorò pazzamente del finanziere George Schlee, un uomo intelligente e pieno di fascino. Pur di stargli vicina, la Garbo arrivò al punto di diventare amica di Valentina, la moglie di George. Era facile incontrarli insieme e il loro ménage suscitò molti pettegolezzi, ma l'attrice visse la sua passione sfidando tutte le convenzioni sociali. Affidò buona parte del suo patrimonio a George Schlee perché lo investisse nel migliore dei modi e insieme a lui si senti finalmente una donna appagata. Per poco, purtroppo. Infatti, nel 1964, George fu stroncato da un infarto sotto gli occhi della Garbo, che rimase traumatizzata da quella tragedia, al punto da disertare le esequie, attirandosi molte critiche per la sua presunta indifferenza.
     «”La perdita improvvisa dell'uomo che amavo mi fece rivivere il doloroso senso di abbandono che avevo provato quando persi mio padre e mi sentii di nuovo come una bambina smarrita, completamente sola”, confessava Greta per giustificare quel suo comportamento.
     « Alla disperazione, seguirono per l'attrice grosse preoccupazioni economiche: buona parte del suo patrimonio era nelle mani di George, morto senza avere avuto il tempo di lasciare disposizioni testamentarie.
     «Non so proprio quanto fosse riuscita a recuperare la Garbo, ma certo ebbe una grave perdita economica e a quel punto il suo attaccamento al danaro, diciamo pure avarizia, aumentò notevolmente. Criticarla sarebbe impietoso, considerando il suo passato, ma certo questo difetto si rifletteva negativamente nei suoi rapporti con gli altri. Standole accanto si aveva sempre la sensazione che avesse paura di dare, in tutti i sensi».

«RINUNCIO' A VIVERE»

     «Dopo la morte di Schlee come viveva la Garbo?» chiedo.
     «Abitava a New York in una casa bellissima, arredata quasi escluivamente da quadri di autori come Ricasso e Utrillo», racconta Gargia. «Ad assisterla, almeno prima che si ammalasse, provvedevano due cameriere che però smettevano il servizio alle sette di sera. Greta era contenta di dormire sola perché ormai la solitudine per lei era diventato un lusso, quasi un vizio irrinunciabile. L'unica amica ammessa nella sua intimità è stata, fino all'ultimo, Cécile de Rothschild, che ha risentito moltissimo della sua scomparsa al punto da cadere in una crisi depressiva. Nei momenti liberi la Garbo leggeva e coltivava piante. Vedere con quanto amore le innaffiava e accarezzava le foglie era uno spettacolo toccante.
     «”Le adoro perché non hanno occhi per vedere, né orecchie per sentire”, spiegava l'attrice, rivelando la sua nevrosi. La gente, guardandola, avrebbe potuto paragonaree il suo volto segnato dal tempo a quello che era stato ai tempi del massimo splendore e lei la sfuggiva per evitare l'inevitabile confronto. Provai a spiegarle che anche una donna matura può essere affascinante, ma non c'era verso di convincerla anche perché era terrorizzata dall'idea che qualcuno potesse farla soffrire. Per evitare questo pericolo, possibile in ogni rapporto umano, la Garbo si chiuse in se stessa, rinunciando a vivere, almeno nel senso più pieno del termine. Sinceramente credo che abbia sbagliati e si sia costruita l'infelicità con le sue stesse mani. Anche dopo la morte di Schlee, se solo avesse voluto, avrebbe potuto trovare non uno, ma mille uomini pronti ad amarla, ma li respinse tutti.

UN VECCHIO PIGIAMA

     «Per esempio, il famoso fotografo Cecil Beaton, un personaggio davvero molto interessante, le chiese di sposarlo. Ebbene, Greta gli rispose con un rifiuto, scrivendogli: “Mio caro, non saremmo mai in grado di tirare avanti insieme e, inoltre, non ti farebbe piacere al mattino vedermi con indosso un vecchio pigiama da uomo”».
     «Che lei sappia, dopo il ritiro dalle scene, Greta pensò mai a tornare sul set ?», domando.
     «Assolutamente no, perché odiava il suo passato da diva e non avrebbe mai voluto riviverlo», spiega Massimo Gargia. «Si parlò di una sua partecipazione a un film che poi Luchino Visconti non realizzò, Alla ricerca del tempo perduto , tratto dall'omonima opera di Marcel Proust, ma Greta non prese in seria considerazione questa prospettiva. Sfuggiva anche la compagnia dei suoi ex colleghi di lavoro proprio perché le rammentavano un mondo da cui era voluta fuggire in cerca di pace.
     «Ricordo che una sera a Parigi, durante un pranzi, al vidi conversare con Charles Boyer, che aveva recitato con lei nel film Maria Walewska, e pensai che la facesse piacere. Invece, alla fine della serata, Greta mi disse: “Accompagnami a casa, I am so tired, sono cosi stanca”. L'incontro con Boyer l'aveva sfinita e anche intristita, costringendola a ricordare.
     «La sua nevrotica malinconia alle lunga contagiava gli amici e neanche io riuscii a sopportarla. Era impossibile vivere in un clima di continua tensione, nel timore di irritarla anche con una sola parola che potesse suonare come una violazione della sua privacy e alla fine la nostra amicizia si allentò. Chiedevo sempre sue notizie a Cécile, ma mi allontanai da Greta con la sensazione di uno scalatore incapace di raggiungere una vetta inaccessibile. Lo confesso per dimostrare che la solitudine dell'attrice, su cui si è fatta tanta retorica, era una scelta precisa a cui gli altri alla lunga erano costretti ad adeguarsi».

LA DOPPIATRICE
Milano. Tina Lattanzi, 93 anni, l'attrice italiana che doppiava i film della “divina” Greta Garbo, mentre stringe una fotografia della celebre diva americana nel corso della lunga intervista che ci ha rilasciato e che pubblichiamo in queste pagine. «Dal 1930 al 1940», dice Tina Lattanzi «ho doppiato tutti i film proiettati in Italia della Garbo, come “La regina Cristina”, “Mata Hari”, “Margherita Gautier”, “Ninotchka”, “Anna Karenina”, “Grand Hotel”. Ho veramente amato questa donna straordinaria e la doppiavo con assoluta venerazione perché sentivo la sua immensità di attrice. Spesso per riuscire a dare più corpo alla scena facevo vocalizzi per tre-quattro ore come una cantante lirica. Ma non ho mai avuto la fortuna di conoscere di personal l'attrice. Adesso che è morta, e ora che anch'io sto per “andarmene”, spero di incontrarla in Paradiso per stringerle la mano e per dirle che vivevo in Italia e che doppiavo i suoi film».

     Massimo tace, osservando una fotografia in cui eccezionalmente la divina è ritratta senza occhiali scuri e con un radioso sorriso sulle labbra. Gliela regalò l'attrice, con una dedica affettuosa, durante la spensierata vacanza che trascorsero insieme sulla Costa Azzurra.
     «Sul clima di mistero che circondò la Garbo sono stati versati fiumi d'inchiostro: secondo lei qual è la chiave per svelare l'enigma della sua personalità?», chiedo.
     «Penso che Greta sia stata distrutta dal suo stesso mito», dice Massimo Gargia. «Diventò una grande diva, ma non aveva la forza nervosa per reggere il peso della sua leggenda. L'ammirazione fanatica della gente, gli applausi, gli omaggi alla sua bellezza senza tempo, l'amore di tanti uomini non erano certo cose adatte a lei, una donna certamente semplice che, per usare una sua espressione, “sarebbe stata più felice se invece di essere una star fosse stata la moglie di un tranquillo farmacista svedese”».
     Fino a questo punto, l'intervista di Matilde Amorosi con Massimo Gargia. Ma spostiamoci da Roma a Milano per incontrare un personaggio che ha contribuito a rendere grande in Italia Greta Garbo: è Tina Lattanzi, l'attrice che doppiava i suoi film. La intervista Luciano Verre.
     Dice la Lattanzi: «E' scomparsa la più grande interprete cinematografica del mondo e io, nel mio piccolo, se cosi posso dire, almeno qui in Italia, ho contribuito a renderla celebre e popolare. Fui io, infatti, negli anni Trenta, a doppiare tutti i suoi film e a dare la voce ai personaggi che interpretava, per esempio Mata Hari, Margherita Gautier, Anna Karenina. Ho veramente amato questa donna straordinaria, e la doppiavo con venerazione perché sentivo la sua immensità d'attrice. Spesso, per rendere più realistica una scena, facevo esercizi vocali per tre-quattro ore di seguito come una cantante lirica prima di entrare in scena. La voce era grave, cupa, gutturale, quasi maschile, ma erano proprio queste caratteristiche a rendere Greta inconfondibile, a tratti sexy, e sonno certa che i milioni di uomini che si innamorarono di lei persero la testa non soltanto per suoi occhi, le sue labbra il suo corpo asciutto, ma anche per la sua indimenticabile voce.
     «Era davvero irresistibile Greta quando diceva, per esempio, “ti amo”, oppure “ti desidero”, oppure “non tradirmi”, oppure “dammi una sigaretta”. Dal 1930 al 1946 gli anni del suo trionfo, doppiai i film più famosi della Garbo, come La regina Cristine, Mata Hari, Margherita Gautier, Ninotchka, Anna Karenina, Grand Hotel. Eppure, nonostante l'attrice sapesse che il doppiaggi italiano era stato eseguito da me, io e Greta non ci siamo mai incontrate. E questo non perché lei non volesse conoscermi: no, semplicemente perché lei era fatta cosi, schiva e solitaria, amante della quiete e della sua casa e non le importava che le ragazze di tutto il mondo imitassero i suoi gesti, il suo mondo di baciare, di camminare e di vestire, e che gli uomini la considerassero “l'amante ideale”. Greta garbo raramente lasciava il suo rifugio segreto di Los Angeles, e quando lo faceva era solo per girare un film. E allora, appena fuori dal set andava a rifugiarsi nella sua roulotte oppure in albergo. Poi, nel 1941, abbandonò il cinema, non lavorò più, scomparve dalla scena, vederla era diventato impossibile.
     «E' morta a 85 anni, in solitudine come aveva sempre vissuto, e chissà, ora che anch'io sto per “andarmene” perché ho 93 anni e sono malata, magari ci incontreremo nell'Aldilà, in Paradiso, e finalmente potremo conoscerci, e potrò stringerle la mano e dirle che ero io che doppiavo i suoi film».

CASA DEI RICORDI

     Tina Lattanzi è nata il 5 dicembre 1896 ad Alatri (Frosinone), ma da moltissimi anni vive a Milano, in un appartamento in via Trebazio, vicino alla sede della Rai. «E' una casa bella», dice Tina «che adoro perché custodisce e racchiude tutti i miei ricordi, comprese le mille fotografie di Greta Garbo e le cassette dei suoi film doppiati da me: ma mi hanno sfrattato, vogliono mandarmi via, e cosi rischio di trovarmi per strada. Ma ho detto chiaro e tondo a chi di dovere che lascerò questa casa dei ricordi solo da morta. E francamente, lo dico per rassicurare i proprietari del palazzo, sento che non ci vorrà molto perché 93 anni sono tanti e oltretutto quest'ultimo dolore per la scomparsa della Garbo mi ha molto turbato».
     Tina Lattanzi, che è stata sposata con il poeta e scrittore Giovanni Lattanzi dal quale ha avuto due figli, Fiorella, pianista, che abita a Milano, e Glauco, ingegnere, che vive a Parigi, ha prestato la sua voce anche ad altre dive di Hollywood, come Rita Hayworth, Joan Crawford, Greer Garson, ed è stata fino a qualche anno fa un'apprezzata attrice di teatro. Quando debuttò, nel 1920, in Fedra, dopo aver preso soltanto qualche lezione di recitazione, l'autore della tragedia, Gabriele D'Annunzio, le inviò via telegrafo una lettera di ammirazione e di plauso dicendo che non era soltanto una brava e promettente attrice, ma anche una ragazza molto carina, e intendeva conoscerla. «Invece il destino non ci fece mai incontrare», dice la Lattanzi «così come non mi fece mai incontrare Greta Garbo».
     Ma come fu scelta Tina Lattanzi per doppiare i film di Greta Garbo? Fu soltanto merito della sua stupenda voce o anche, come aveva notato Gabriele D'Annunzio, perché era molto carina? E chi la scelse? Greta Garbo in persona oppure i produttori della sua Casa cinematografica?
     «Era il 1933», dice Tina Lattanzi «la Garbo aveva già girato numerosi film sonori ma nessuno era ancora arrivata in Italia. Il primo film da doppiare fu La regina Cristina . Io avevo 36 anni e una discreta carriera teatrale alle spalle.
     «Ricordo che da un anno la pubblicità sui giornali e le cosiddette “voci di corridoio” annunciavano il grande evento della “divina” Greta che lasciava il cinema muto per passare al cinema sonoro “Garbo talks”, “La Garbo parla”, scrivevano i giornali italiani, e poi ancora “Greta arriva”, “Greta vi farà sognare”, “Ecco la nuova Greta”. Senza dubbio era un grande evento, soprattutto per noi italiani che di cinema eravamo assetati, e Greta Garbo l'avevamo vista soltanto in film nei quali appariva bellissima ma muta.

SOMMA FAVOLOSA

     «A me, invece, il cinema, muto o parlato, non interessava affatto. Trovavo stupido recitare davanti a poche persone, cioè al regista e ai suoi assistenti, mentre il teatro tutte le sere ti apriva le braccia davanti a una sconfinata platea. Però, torno a dire, anch'io, come tutti, restai colpita dagli annunci pubblicitari che parlavano dell'imminente arrivo della “divina” Greta, e del cinema sonoro. Soprattutto mi colpi molto un particolare: la MGM, la Casa cinematografia americana che aveva prodotto il film La regina Cristina, per il doppiaggio della Garbo offriva 500 lire, una somma favolosa, che non avevo mai visto. E io avevo tonto bisogno di denaro, per vivere e per pagare i debiti di gioco. Si, giocavo a carte nelle bische, o al casinò, e vincevo e perdevo, ma più che altro perdevo. Una volta, per esempio, forse venti o trenta anni fa, al Casinò di Venezia persi tutto quello che avevo su un numero imbecille e maledetto, il “18 nero”, e fui costretta a chiedere i soldi del biglietto per Roma al portiere dell'albergo.
     «Ma torniamo al doppiaggio. Mi presentai negli uffici della MGM, e notai immediatamente che le candidate erano numerose, tutte attricette sconosciute in cerca di gloria. Allora, per darmi un tono, chiesi a un usciere se alle “prove di doppiaggio” partecipasse anche la Garbo, e l'usciere, sarcastico, rispose: “Si, come no, anche il Padreterno”. “Ma allora”, chiesi “chi decide?”. “Decide un signore arrivato dall'America”, aggiunse l'usciere. E infatti il provino lo feci davanti a un signore biondo che parlava americano. Mi fece incidere su un nastro magnetico un testo preparato da lui, e mi congedò dicendo che mi avrebbe fatto sapere. Ma io me ne andai terribilmente delusa, sentivo che non mi avrebbero preso, non avevo raccomandazioni. Invece accadde il miracolo: dieci giorni dopo fui convocata e assunta per doppiare La regina Cristina».
     «E come nacque la famosa voce greve e gutturale di Greta Garbo?».
     «Chiesi di poter vedere il film da sola, e ascoltai più volte la voce dell'attrice, che era bellissima, sensuale, roca e profonda. Capii finalmente perché gli uomini impazzivano per lei. Non era soltanto bella, aveva anche la voce leggermente baritonale che aumentava la carica sexy sprigionata dal suo splendido corpo asciutto.

LUCE INCOMPARABILE

     «A guardarla con attenzione ti accorgevi che aveva i piedi lunghi, la vita larga, il passo pesante, il seno piatto, la bocca a barchetta. E però dallo schermo, tutte queste cose messe insieme emanavano una luce incomparabile. Greta parlava e si muoveva come nessun altro sapeva fare, e io restai incantata, innamorata, stregata dal suo fascino. Sentivo che piano piano stavo entrando nel suo corpo e che sarei riuscita a doppiarla come volevano i produttori. Passai in rassegna le singole scene anche venti, trenta volte. E solitamente, dopo un esame così, il personaggi ti viene fuori dagli occhi: invece Greta, più la guardavo, più la amavo. E così cominciai a doppiarla calcando i toni, e facendo finta di avere di fronte un ragazzaccio discolo che combina guai e rivela modi gradevoli soltanto quando abbraccia la sua ragazza.
     «Unendo le due cose, cioè la voce baritonale e i toni dolci, trovai la giusta misura e venne fuori il doppiaggio che volevano gli americani. Fu un successo enorme. E fui confermata anche per doppiare gli altri film della Garbo: quelli che aveva girato prima del 1933, come Mata Hari, ma mai arrivati in Italia e quelli successivi: per esempio Il velo dipinto, del 1934, Anna Karenina, 1935, Margherita Gauthier, 1937, Ninotchka, 1939. Poi, nel 1941, Greta Garbo, dopo Non tradirmi con me, decise di lasciare i set cinematografici. Non girò più film, e la mia esperienza con la “divina” terminò definitivamente».
     «Ma come mai non vi siete mai conosciute? Greta garbo non le fece mai i complimenti per il doppiaggio in italiano dei suoi film?»
     «Nel 1934, Greta, dopo aver ascoltato il doppiaggio in italiano del film La regina Cristina e del film Il velo dipinto, inviò un telegramma ai dirigenti italiani della MGM, nel quale scriveva: “Comunicate alla signora Lattanzi che è una grande attrice”. Man non ci siamo mai incontrate.

CARATTERE MASCOLINO

     «Una volta, forse nel 1938, o forse nel '39, non ricordo più bene, la Garbo venne in Italia con il maestro d'orchestra Leopold Stokowski. Insieme affittarono un appartamentino a Ravello, sulla costiera amalfitana, in Campania, e io subito chiesi ai dirigenti della MGM di incontrare Greta. Lei accettò e mi fissò un appuntamento di dieci minuti. Ma proprio il giorno che dovevamo incontrarci, lei bisticciò con Leopold e rientrò a Los Angeles da sola, e naturalmente senza vedermi. Leggevo tantissime storie su questa donna che adoravo, e forse non erano neanche tutte bugie. Leggevo che in amore, per esempio, era sfortunatissima, e non trovava mai l'uomo che sapesse renderla felice. Si diceva che avesse un carattere “mascolino”, che si trovasse più a suo agio con le donne che con gli uomini. Ma di uomini la Garbo ne amò tantissimi. E uno, il noto fotografo Cecil Beaton,. voleva anche sposarla. Ma quando lui le inviò l'anello di fidanzamento, lei glielo rese con questo biglietto: “Come moglie sarei una delusione, al mattino mi troveresti con un vecchio pigiama da uomo addosso”. Ora è morta, non c'è più, e io spero di poterla incontrare presto in Paradiso per dirle che doppiavo i suoi film».

Matilde Amorosi
e Luciano Verre

 

from:   Gente,        ca. 1999
© Copyright by   Gente

 



 

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