Attraverso una galleria di eroine rivive immutata alla
televisione la leggenda della divina Greta Garbo
ERA ANGELO E DEMONIO INSIEME
PER QUESTO LA CHIAMARONO SFINGE
Una delle ragioni dello straordinario successo dell'attrice fu l'ambiguità dei personaggi interpretati, mai cattivi e mai buoni del tutto, ma spesso un misto di entrambe le cose – Roosevelt, Churchill, Hitler e Stalin l'ammirarono
di EMILIO DE ROSSIGNOLI
Atrent'anni di distanza, la televisione ci sta riproponendo in una serie che vorrebbe essere organica, ma che rappresenta esclusivamente ciò che si è potuto salvare o ritrovare, alcuni film di Greta Garbo. E oggi, diversamente da quando furono girati, il pubblico si divide in due fazioni e i più giovani accusano i più anziani di sentimentalismo, ridono delle pellicole impolverate, negano la validità dell'attrice o, al più, la paragonano negativamente a interpreti più moderne, forse più complete. Eppure, fra bent'anni o trenta, pochi ricorderanno chi è stata Sofia Loren, proprio come oggi quasi nessuno sa chi furono Eleanor Broadman o Barbara La Maar; ma ancora, quando si chiederà a qualcuno un solo nome del cinema di ieri, quel qualcuno dirà: Greta Garbo.
In realtà il cinema ha avuto ed ha in lei la sua sola leggenda. Jean Harlow, Ingrid Bergman, Rita Hayworth, Marilyn Monroe (stiamo nominando le sole «stars» di cui il recente libro di un esperto di Hollywood ammette l'esistenza), per quanto popolari e ammirate fossero, non hanno mai conosciuto nemmeno vagamente il fascino, l'alone di rispettosa idolatria che circondava la straordinaria personalità di Greta.
Si dirà che il pubblico di un tempo era più ingenuo di adesso, confondeva facilmente l'invenzione con la realtà, attribuiva alla Garbo il carattere, la psicologia, lo stile del suo personaggio. Questo è vero: certi «malvagi», come Francis X. Bushman, avevano la brutta sorpresa di venir insultati per la strada, solo perché sullo schermo si permettevano di maltrattare Ramon Novarro. Oggi non succede più. Tuttavia gli attori che una volta suscitavano frenesie erano parecchi, ma la Garbo è rimasta sola: ha superato i limiti del tempo, continua a esistere quando i suoi antichi colleghi sono ormai polvere e ragnatele, è un'attrice nota ovunque, nonostante siano trascorsi vent'anni dal suo ultimo film.
Il mistero inviolabile |
Non si può spiegare il fenomeno Garbo senza parlare dello «star system», il metodo per fabbricare le stelle, che con poche varianti è in vigore dall'alba del cinematografo ai giorni nostri. Los «star system» si basa su una ben orchestrata pubblicità, fatta spendendo milioni, ma esso servirebbe a poco se non scavasse nella psicologia della gente, non ne realizzasse i sogni attraverso volti e fatto esemplari.
All'epoca del suo primo film, Greta non era che una diciassettenne grassoccia e impacciata; appariva così procace che la prima pubblicità fatale in occasione del film svedese La leggenda di Gosta Berling fu imperniata su aggettivi come «formosa lussuriosa, provocante». Un vocabolario infelice, che rivelò la sua scarsa aderenza alla realtà l'anno seguente, quando Greta apparve nuovamente sullo schermo nella sua incarnazione di bellezza frigida e altera, in Il torrente . Gli aggettivi che si sarebbero adattati a una Mae West scivolavano sulla sua diafana pelle senza scalfirla: era sì un'incarnazione dell'amore, ma dell'amore cerebrale e vampirico del romanticismo, ben diverso da quello epidermico e gioviale delle «flappers», divenute in seguito «pim-up».
Ma anche questo sarebbe stato poco (perché il pubblico stima le «vamp» ma non le ama) se il cinema americano, che si era impadronito di lei, non avesse aggiunto al personaggio dell'ammaliatrice la componente del cuore: un organo gelido e intatto, apparentemente inespugnabile, ma che a un tratto alla presenza di Ricardo Cortez, di Antonio Moreno, soprattutto di John Gilbert, si scioglie repentinamente in un profondo inno di passione, nella dedizione più totale e sconvolgente, che sa arrivare in caso di necessità al martirio.
Seguendo la linea tracciata dallo «star system», la produzione americana trasformò radicalmente la primitiva «formosa» Greta: la costruì e ravvivò, affinandone il fascino, vestendola di abiti incredibili ma essenziali per alimentare l'impressione di una sua singolarità. Greta perse le forme, in omaggio alla allora predominante «dona crisi»; in compenso si arricchì di spiritualità, divenne il simbolo di una femmina speciale, metà buona e metà perversa, metà tentatrice e metà schiava d'amore, metà peccatrice e metà santa.
Eccezionale significava anche e soprattutto sola. E Greta si allontanò sempre più dal cinema, proprio quando ne era la stella più splendente. Incominciò a vivere una vita sua, misteriosa quanto esigeva la sua formula. In questo l'aiutò la sua naturale timidezza, che il frastuono della smaccata mondanità di Hollywood non aveva fatto che accrescere, inacerbire, trasformando in una paura fisica di contatto ciò che all'inizio era soltanto avversione spirituale.
Inconsciamente, almeno all'inizio, Greta garbo favorì lo «star system», costruendo intorno a sé un vuoto che, per l'interessamento morboso del pubblico, diventava atmosfera. Una cortina impenetrabile la nascose agli occhi del mondo che proprio per questo diventò particolarmente curioso nei suoi riguardi. Nessuno sapeva come viveva in privato colei che la stampa immaginifica aveva soprannominato «la Divina». Amava le bestie? Aveva un hobby segreto? Quali sentimenti la legavano al regista Maurizio Stiller e, più tardi, a John Gilbert? Che cosa pensava, che cosa leggeva, che cosa mangiava?
La stampa periodica specializzata, così prodiga di notizie sugli attori, con lei si limitava alle supposizioni, ai pettegolezzi, alle insinuazioni. E questo, in definitiva, arricchiva il personaggio, perché gli aggiungeva propaggini torbide, relazioni inquiete, vizi nascosti, un insieme di gesti, azioni e sentimenti che finivano proprio con l'avvicinarla maggiormente alle sue interpretazioni, confondendola con esse.
La sua legge
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Sua questa costruzione pubblicitaria, Greta aggiunse sovrastrutture personali. Ritrosa, scorbutica, di carattere malinconico, fornita di un volto purissimo ed enigmatico che sapeva illuminarsi di grazia nel sorriso, ma anche trasformarsi in una maschera di ghiaccio, Greta contribuì con i suoi umori indefinibili, con le sue inquietudini, con la sua eterna scontentezza a ravvivare la Garbo pubblicitaria.
In breve, assieme al successo che le veniva dal pubblico per il quale incarnava un sogno irraggiungibile e splendido, la Garbo si impose allo stesso «star system», cesso di esserne una emanazione per vivere di vita propria. E i produttori, sopraffatti dalla sua straordinaria personalità e incantati dai milioni che il suo solo nome portava nelle loro casseforti, si lasciarono sottomettere, divennero i suoi servitori devoti.
L'ordine della Garbo, allo studio, era legge. Se voleva restare sola con l'operatore, ci restava: se voleva cambiare regista, o interprete maschile, lo cambiava; se non se la sentiva di girare, non girava. Oggi un'attrice così non è pensabile: abbiamo visto che cosa capitò a Marilyn Monroe quando fece i capricci. La licenziarono e le promisero sanzioni tali da incoraggiarla se non convincerla al suicidio.
Naturalmente Greta garbo possedeva qualcosa di più della debolezza e del fascino misterioso: era un'attrice istintiva, vera, ammirevole. Le sue interpretazioni formano un caleidoscopio fra i più ricchi dello schermo per complessità, varietà, intelligenza. Rivelano ancora oggi una validità che non trova riscontro in altri quotati interpreti di ieri.
La critica, una volta tanto, si affiancava senza rimorsi alla simpatia popolare, ne suffragava gli impeti con severe dissertazioni. E i detrattori non avevano che due sfruttatissimi e miserabili temi sui quali aggrapparsi: la sua voce alquanto baritonale e i suoi piedi, a detta degli intenditori, troppo lunghi. Ma con l'andar del tempo l'opinione sui piedi divenne una battuta stucchevole e i difetti della voce vennero attribuiti agli inconvenienti del doppiaggio (in Italia ne fece le spese la simpatica Tina Lattanti).
Greta Garbo in un atteggiamento che fa risaltare la sua delicata bellezza, come apparve in «Maria Walewska»; al suo fianco, quale Napoleone, recitava Charles Boyer. Nella storia del cinema, pur così ricca di personaggi eccezionali, la Garbo occupa un posto di assoluta preminenza. Ancora oggi, a distanza di trent'anni, i suoi film ripresentati alla televisione confermano la sua straordinaria personalità d'attrice e il suo fascino di donna. Greta si impose agli stessi produttori e il suo desiderio divenne legge.
COSÌ NACQUE IL MITO
Con questo fotomontaggio, che mostra il volto della Garbo applicato alla Sfinge, gli esperti della pubblicità cinematografica hollywoodiana vollero dare un'immagine di quello che rappresentava l'attrice per milioni di spettatori: una donna enigmatica, bellissima e irraggiungibile, l'emblema di un fascino inquietante e fatale, quasi un «mostro sacro» da adorare paganamente. Spesso si esagerò in pagianeria e cattivo gusto nel presentare Greta Garbo some il prototipo dell'ammaliatrice, ma il talento artistico dell'attrice riscattò ogni mediocrità, trasformò pellicole di scarso valore in opere che vale la pena di rivedere per le sue interpretazioni.
AMÒ IL PRIMO NELLA VITA, L'ALTRO SULLO SCHERMO
Con una mossa che la è caratteristica, Greta Garbo ride con il capo rovesciato all'indietro, tra le braccia di John Gilbert, interprete al suo fianco di «La regina Cristina» (nella foto) e suo partner favorito. Greta amò veramente Gilbert, tanto da esigere di averlo per compagno in questo film, quando egli era ormai un attore finito e minato dal male. Dimenticato dal pubblico, Gilbert morì poco temo dopo.
Ramon Novarro, un «bello» degli anni trenta, fu l'interprete al fianco di Greta in «Mata Hari» (nella foto). La forza di persuasione che l'attrice riusciva a infondere ai suoi personaggi modificò l'opinione del pubblico su figure e fatto storici; ad esempio, dopo questo film, ci fu un movimento d'opinione innocentista nei confronti della spia fucilata dai francesi durante la prima guerra mondiale.
Omaggio alla Duse
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Nel processo di divinizzazione di Greta Garbo non mancava l'amore, anche se si trattava di un amore strano, fatale, aderente in definitiva al suo ruolo. L'uomo più importante della sua vita, quello che la scoprì, la valorizzò, la portò a Hollywood e rinnovò per lei il mito di Pigmalione e Galatea, si chiamava Maurizio Stiller. Fu lui a darle il nome d'arte di sapore italiano, in omaggio alla grande Duse. E come Pigmalione, quando l'ebbe compiutamente trasformata, Stiller si innamorò della sua opera e visse di quell'amore fino alla morte.
Scomparso Stiller, John Gilbert ne prese il posto nel cuore di Greta, perpetuando nella realtà le immagini dello schermo, adorandola oltre la finzione. Fu la passione bruciante che non si dimentica e Greta mostrò di rammentarsene ancora quando, per La regina Cristina , colle al suo fianco l'attore già dimenticato e malato. Per un'ora magnifica, Greta ridette a Gilbert l'illusione degli anni ruggenti, del tempo in cui lo aveva innalzato fino a lei con La carne e il diavolo , Destino , e la prima edizione di Anna Karenina . Scomparso anche Gilbert, Greta si rifugiò nelle «amicizie sentimentali», certo più ipocrite ma altresì meno fatali delle grandi passioni. Ha amato Stokowski, ha amato Scalee e forse lo ama ancora. Il mistero rimane, anche oggi che la Garbo è ritornata a essere Greta Luisa Gustafsson da vent'anni.
Come allora, più di allora, Greta continua a sfuggire alla persecuzione dei fotoreporters, che un abisso di tempo non ha reso smemorati: cappelli inverosimili, abiti assurdi, occhiali neri. La Divina difende pateticamente il suo segreto invecchiato.
Donna complessa e sensibile, Greta ha conservato nei decenni quella carica interna che si potrebbe definire un'enfasi spirituale e che, in un certo senso, rimane svincolata dalla sua presenza. Non dimentichiamo che, per la prima volta nel cinema, la Garbo fu una presenza passiva, quasi statica (proprio per questo la sua recitazione, così sobria e controllata, regge benissimo anche all'occhio critico degli spettatori odierni, mentre la maggior parte dei suoi compagni di lavoro naufraga miseramente nel ridicolo: è il caso di Lionel Barrymore e di Ramon Novarro in Mata Hari ).
Passiva, dunque, ma più ricca di problemi, di contrasti interiori, poiché il personaggio della Garbo si basa essenzialmente sul confitto morale che lei affronta sempre in maniera nebulosa, indeterminata. Non è mai interamente angelo, ma non è neanche interamente demonio. Non è onesta, ma neanche corrotta; o forse, si suggerisce al pubblico, è tutte le due cose insieme. Mata Hari , che la recente proiezione televisiva rende un esempio facilmente controllabile dai lettori, ce la presenta spia senza scrupoli, seduttrice per denaro, ma anche assassina per amore e disposta al proprio sacrificio non per la salvezza, si badi, ma solo per la serenità dell'uomo amato, cieco e ignaro. I film interpretati da Greta, nelle loro variazioni, si riducono sempre a questo elementare schema psicologico, graditissimo alle platee.
In mezzo alle fiere
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Non è un personaggio morale quello della Garbo: la sua fortuna sta nell'ambiguità, la sua attrazione nel peccato. Ma l'impronta della sua arte illumina spesso lo squallore di una mezza scelta o di una scelta cattiva per elevarla sul piano della tragedia.
La donna fatale esige, secondo il gusto esotico e barocco del cinema americano degli «anni trenta» tutto un bagaglio di orpelli e di accessori di cattivo gusto. Così Greta passa incontaminata attraverso scenari che prevedono danze lascive davanti alla dea Kalì; bocchini d'avorio di lunghezza inverosimile; abiti orientali, laminati, piumati, pasticciati nei modi più orribili; turbanti e acconciature folli.
Il mito contagia i fotografi di studio: in una foto famosa il volto della Divina si sovrappone a quello della Sfinge; in un'altra, Greta fuma accoccolata in una gabbia di leoni e le fiere sonnecchiano quiete sotto il suo sguardo magnetizzatore; in un'altra ancora, i suoi lineamenti spiccano scolpiti a sbalzo su una montagna di ghiaccio.
Per onorare una delle sue cittadine più illustri, la Svezia dedicò a Greta Garbo nel 1940 una emissione di francobolli, che recava l'immagine dell'attrice per tutti i valori normalmente in uso. Greta Luisa Gustafsson, questo è il vero nome della Divina, nacque a Stoccolma il 18 settembre 1905; era la terza figlia di un operaio. Dopo essere stata dattilografa e commessa, frequentò l'Accademia d'arte drammatica e fu là che la notò il regista Maurizi Stiller, il quale doveva valorizzarla e portarla con sé negli Stati Uniti. Stiller amò profondamente la Garbo e inutilmente le chiese più volte di sposarlo; pur ricambiando i suoi sentimenti, Greta non volle mai legarsi a lui. Lo stesso fece anche con John Gilbert, con il famoso di retore d'orchestra Leopold Stokowski e con Gorge Scalee, gli altri uomini che l'amarono.
In «Grand Hotel», Greta Garbo ebbe accanto a sé i più grandi attori dell'epoca, da John Barrymore a Jean Harlow, da Fallace Berry a Joan Crawford. Barrymore erra allora il maggior attore del teatro americano e uno dei maggiori del cinema; tuttavia, con la sua recitazione vibrante e mutevole, Greta riuscì a metterlo in ombra. Forse l'unica a non essere soddisfatta dei film della Garbo era Greta stessa che, con l'insoddisfazione propria dell'artista di valore, il trovava falsi e sofisticati.
Un'estrema timidezza unita a un'avversione morbosa per la folla spinse Greta, fin dai suoi primi successi, a evitare ogni genere di pubblicità, a camuffarsi nei modi più strani e ridicoli per sfuggire alla curiosità del pubblico. Eccola al suo arrivo a Parigi, anni fa, mentre vestita da uomo conversa con un interprete.
Del resto, la Garbo riesce a rendere accettabile ogni personaggio, ogni speculazione di cattivo gusto; la sua partecipazione individuale è tanto forte da annullare squilibri, forzature, lo stesso ridicolo. I suoi occhi e la sua bocca, a volte uniti nel sorriso e nell'amarezza, altre volte animati da un contrasto che esalta la sua personalità complessa, sono la sua forza, un'unica, eccitante armonia. Non per nulla, numerosissime sono le fotografie dei suoi soli occhi, affioranti da un nero mare tempestoso.
E la sua bocca offre persino il titolo a un film che concentra le sue virtù di amatrice, apparentemente frigida e profondamente sensuale: Il bacio . Del resto molte pellicole di Greta ne rievocano con puntigliosa frequenza la carica passionale a sfondo peccaminoso: L'ammaliatrice , La tentatrice , La donna divina , La donna misteriosa , La carne e il diavolo , Orchidea selvaggia , Cortigiana , Come tu mi vuoi .
Con Come tu mi vuoi , Greta incontra Luigi Pirandello, la cui sottile tematica dello sdoppiamento psicologico è per lei profondamente congeniale. Contemporaneamente adatta famosi personaggi romantici alla sua dimensione, mutandosi in «Anna Christie», «Mata Hari», «La regina Cristina», «Margherita Gauthier», «Maria Walewska», e due volte in «Anna Karenina».
Una risata amara
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La personalità della Garbo è troppo forte per soccombere a sceneggiature cucite col filo bianco al solo scopo di soddisfarla e valorizzarla: in ogni donna che incarna rimane se stessa, ma contemporaneamente costruisce una favola nuova, illusioni errate e tenaci. Mata Hari , per esempio, consolidò a suo tempo la leggenda di una creatura generosa, vittima di un destino avverso, mentre nella realtà la spia fucilata dai francesi a Saint-Nazaire il 15 ottobre 1917 era soltanto una bella sciagurata, avida di danaro. Nella Regina Cristina , l'ambiguità di una figura quasi mascolina si tempera nell'improvvisa estasi dell'amore rivelato.
Il tema di Margherita Gauthier , cui l'odissea della «traviata» condannata dal male offre concitazione patetica, rienta perfettamente nel repertorio di Greta, col suo dualismo male-bene. L'amore trionfa sulla morte e vince anche in Maria Walewska dove affronta invece il confronto con la patria. A questo film Greta Garbo lega l'ulima delle sue creazioni romantiche. La guerra è alle porte e Hollywood si sbarazza come di sgradevoli cenci dei miti che ne hanno fatto la fama e la ricchezza; c'è una febbrile ricerca di rinnovamento che travolge e rinnega il passato. Greta non si può distruggere, ma deve essere modificata, ridimensionata, riportata agli anni intensi e non abbandonata, come un relitto senza età, a lontane emozioni residuate dall'epoca del muto.
SI NASCONDE PERCHÉ HA PAURA
La paura morbosa della folla ha ridotto Greta Garbo come una prigioniera di se stessa: eccola a Ostia, qualche anno fa, assieme al suo assiduo accompagnatore dell'ultimo decennio, l'uomo d'affari Gorge Scalee. Per impedire ai fotografi di ritrarla, Greta si è coperta il viso con i capelli, mentre Scalee avanza minaccioso per proteggerla dagli obiettivi indiscreti, Greta è invecchiata, da oltre vent'anni non interpreta più un film, ma l'interesse che desta ancora è enorme. Il suo ricordo resta intenso e insostituibile nel pubblico che la vide e l'amò al tempo del suo massimo splendore. Greta vive attualmente buona parte dell'anno a New York, dov'è azionista di alcune importanti società commerciali, ma ha l'abitudine di trascorrere lunghi periodi di vacanza in Francia e in Italia, dove possiede una villa a Ravello.
Sarà una «Ninotchka» estrosa, imprevedibile, scintillante, deliziosa, ma avrà finito di essere la Garbo. Se ne accorge da sé e, prima che il pubblico abbandoni il suo idolo, è lei ad andarsene, con Non tradirmi con me . C'è in questo ultimo film, facile e brioso, una risata che ha fatto epoca. Greta ride come non l'ha mai fatto prima, con gioia sincera. Eppure quella risata resta la testimonianza più triste di tutta la sua carriera: la confessione di una sconfitta. Non altrimenti, nei giorni in cui il sonoro balbettava, Buster Keaton, l'attore «che non sorrideva mai», si congedava dal suo pubblico con una irrefrenabile sghignazzata in Il re dei Campi Elisi , una tetra premonizione della follia che, per molti anni, l'avrebbe trattenuto in un manicomio.
Avendo dato origine a un personaggio completo e costante ed essendovi rimasta fedele, la Garbo si affranca dalla cronaca contingente, diventa un fenomeno isolato nella storia del cinema. Attrici brave quasi quanto lei e, a un dato momento della loro carriera, altrettanto famose, non hanno resistito all'usura del tempo poiché erano legate a un talento diverso e complementare al loro. Marlene Dietrich fu la creatura di Josef von Sternberg, Brigitte Helm di Pabst, Lillian Gisg di Griffith. Ma Greta era in un certo senso un'artista creatrice, anche se non dirigeva i propri film, dava a essi un'impronta personale come Stroheim e come Chaplin.
Odiava il cinema
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Forse perché era «l'amante innocente della fantasia d'ogni uomo» (come l'aveva definita il giornalista inglese Alastair Cooke), Greta fu l'attrice più amata dal pubblico, anche se l'ammirazione per lei non giunse mai alle punte di fanatismo isterico che circondarono certe manifestazioni dedicate a Rodolfo Valentino. Forse Greta, con il suo atteggiamento sprezzante, respingeva certe gazzarre, intimidiva persino i più scalmanati entusiasti. Fu l'«amante innocente» di tanti adolescenti anonimi che oggi hanno cinquant'anni e qualche nipotino e lo fu di uomini famosi. Hitler ne andaca pazzo, Roosevelt aveva veduto tutti i suoi film, Churchill la considerava «la donna più interessante di tutti i tempi». Persino Stalin si era fatto proiettare le pellicole di Greta e forse la riteneva uno dei pochi prodotti riusciti del capitalismo.
Un poeta la paragonò a Beatrice, un pittore alla Gioconda (e il paragone ebbe successo, si sviluppò in una serie di sovrimpressioni Garbo-Monna Lisa); uno scrittore confermò che mai l'umanità aveva contemplato un volto così puro e sublime. «Produce un'emozione estetica di ordine assoluto», disse Francesco Savio. Citazioni sulla Garbo se ne possono trovare a migliaia; la stampa di tutto il mondo si è occupata di lei con tenerezza sollecita per quarant'anni; ne narra ancora oggi, con rigore cronistico, spostamenti e vacanze, vestiti e bizzarrie, umori e amicizie.
A parlare male della Garbo, restava Greta soltanto. I suoi film, anche quelli di maggior successo, non le piacevano, il considerava falsi, sofisticati, innaturali. Spesso si lamentava d'essere schiava di una formula che, in realtà, lei stessa alimentava. Ma la verità era diversa: Greta odiava il cinema che aveva modificato la sua superficie, come una vernice lucente, ma l'aveva lasciata intatta nel profondo, con i suoi timori, le sue incertezze, la sua timidezza morbosa.
Due preziose memorie
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«Dicono che sono la regina del cinema», si confidò un giorno amaramente con un amico, «e non sono che una miserabile. Devo camuffarmi per timore di essere riconosciuta. Devo fuggire, nascondermi, tremare. La folla che mi acclama e dice di amarmi mi sconvolge, perché sento che se mi avesse tra le mani il suo amore si trasformerebbe in distruzione. Non amo la gente, la detesto».
A questa donna che dalla vendemmia di un successo durato otto lustri ha distillato soltanto gocce amare di rancore per chi l'ha innalzata sul piedestallo delle divinità, una umanità intenerita, commossa, estasiata, entusiasta, ha decretato un affetto perenne. E poi dicono che l'amore è un sentimento egoistico.
Tuttavia Greta paga duramente il privilegio d'essere amata: due uomini sono morti col suo nome sulle labbra, altri l'hanno amata con una dedizione che supera il traguardo degli anni e delle rughe, ma nessuno ha saputo offrirle quella briciola di sicurezza di cui aveva bisogno; nessuno le ha ispirato tanta fiducia da meritarla.
«Gli uomini sono tutti uguali», ammise una volta stancamente Greta.
Di loro ha conosciuto la parte peggiore e non ha capito che era lei, incastonata nell''ambiguità del suo mito, ad attirarli e a respingerli, a trasformarli a sua immagine. Non si è sposata, non si sposerà più.
Del passato conserva due ricordi preziosi, legati agli uomini che le hanno dedicato il privilegio di morire. Talvolta, all'alba, si reca a pregare su due grigie tombe dimenticate, nel cimitero di Hollywood. Là riposano Maurizio Stiller, l'uomo che le offerse un nome e un volto, e John Gilbert, colui che seppe brevemente fondere in un solo ardore la finzione dello schermo e la realtà. Entrambi avrebbero voluto sposarla, ma lei li respinse, tenendosi solo l'amore nella tradizione delle «vamp».
A loro deve moltissimo come donna e come attrice, ma al resto del mondo che detesta deve se è diventata Divina.
Emilio de' Rossignoli
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from: INCOM, 24.02.1963
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