Una delle più appassionanti scene di «Mata Hari». La celebre spia (Greta Garbo) bacia il suo amante (Ramon Navarro) sedotto dalla sua bellezza e dal fascino delle danze esotiche. Condotta infine davanti al plotone d'esecuzione l'avventuriera pronuncerà la storica frase: «Per favore, non sparate al volto».
GRETA
BACIA
DALLE 21 ALLE 23
Mentre sullo schermo televisivo rinasce il mito della «divina» svedese che fu amata persino da Hitler c'è chi si domanda se la Garbo fu una grande interprete o soltanto la squisita intrattenitrice dell'ultima Europa romantica
L'odio di Greta Garbo per i fotografi è noto. E' un odio assolutamente poco produttivo non tanto per i fotografi che prima o poi qualche istantanea riescono a scattarla quanto per la stessa ex diva, che viene quasi sempre colta in atteggiamenti singolari, per non dire scoraggianti. Almeno una volta l'anno, sui principali rotocalchi, la si vede aggiustarsi gli occhiali sul naso; o trattenersi l'ampio cappello, sensibilissimo alle frequenti folate d'aria degli aeroporti; o volgersi con atteggiamenti di mascolina durezza agli accompagnatori di turno, che in genere appaiono piccoli, quasi ridicoli, al fianco di questa diva dall'alta statura e dai piedi lunghissimi.
Che cosa può pensare, di questo stravagante personaggio, un giovane d'oggi, cultore di juke box ma ignaro della storia del divismo? Come può riconoscere in questa creatura fredda e inaccessibile la donna più applaudita nel mondo intero e la più adorata?
Perchè Greta Garbo è stata indubbiamente l'attrice più famosa del cinema fra le due guerre: famosa come nessuno, ai suoi tempi, riuscì ad esserlo, nemmeno Rodolfo Valentino.
Il suo vero nome è Greta Lovisa Gustafson. E' nata il 18 settembre del 1905. Terza e ultima figlia di un modesto operaio di origine contadina, trascorse un'infanzia molto avara di soddisfazioni nella sua città natale. Nel 1919, quando suo padre si ammalò gravemente, Greta (aveva allora quattordici anni) fu costretta ad abbandonare la scuola per mandare avanti la casa, mentre la madre e i fratelli provvedevano al mantenimento della famiglia. Con la morte del padre, avvenuta un anno dopo, si chiuse per lei il periodo, del resto molto triste e umile, dell'adolescenza.
Graziosa com'era, non le fu difficile trovare un lavoro: dapprima un barbiere del vicinato le offrì un posto come «insaponatrice»; vi rimase due mesi, poi cambiò per recarsi in un negozio più grande: ma guadagnava troppo poco: nemmeno cento lire alla settimana. Presentò allora una domanda d'assunzione alla direzione dei grandi magazzini di Paul U. Bergstrom, che a Stoccolma sono noti come i PUB. Fu assunta il 26 luglio di quello stesso anno come commessa in un reparto al quarto piano.
Dovendo preparare il catalogo dei grandi magazzini, il direttore del reparto pubblicità del PUB invitò la giovane commessa a posare per la presentazione di cinque cappelli. Per Greta, che covava dentro di sé la passione segreta di diventare attrice, una proposta del genere voleva dire molto e l'accettò con entusiasmo. Correva il 1921 quando la «sfinge svedese» fu presentata per la prima volta al pubblico: era una umile modella che presentava il suo volto per fare pubblicità a cinque deliziosi cappelli in feltro ma già si intuiva in lei il fascino di una inquietante personalità.
A rendersene conto per primo fu un regista svedese, morto più di vent'anni fa ma famoso all'epoca del cinema muto. Si chiamava Mauritz Stiller e nel '23 diede a Greta una parte nella riduzione cinematografica de La saga di Gösta Berling, uno dei migliori romanzi della più grande scrittrice che la Svezia abbia avuto, Selma Lagerlöv. Subito dopo Greta ebbe appena il tempo di interpretare in Germania uno dei primi film di Pabst, altro regista famoso fino a quest'ultima guerra (e fu un bel film: La via senza gioia, del 1925) che il signor Louis B. Mayer, proprio la seconda «M» della Metro Goldwyn Mayer, di cui era vicepresidente, la chiamò affettuosamente a sé.
Nacque il mito della Garbo, il mito della «divina», dell'attrice per cui qualunque attore non era che una «spalla». Quanto tempo fu necessario ai maghi della M.G.M. d'allora per trasformare la bella donna in diva indiscussa e ammaliatrice? Neppure un anno.
Greta sbarca a Manhattan nel '26 e nel '27 è, con John Gilbert, l'eroina de La carne e il diavolo e soprattutto di Destino. L'esuberante Gilbert è il grande eroe del cinema americano muto: l'avvento del sonoro lo travolgerà, mentre Greta saprà attraversarlo senza scalfire minimamente la sua popolarità. Prima del sonoro, Gilbert è un idolo delle folle: i cinematografi che proiettano Destino espongono cartelli con preziosi avvertimenti: «Greta e John si baciano dalle ore
alle ore
»E' un attimo: il pubblico americano, che aspetta soltanto l'occasione per manifestare il suo amore a questa bella straniera, fatale ed enigmatica, dalla voce profonda («intestinale», dirà qualcuno) e dal portamento altero, vede in John Gilbert il paladino, l'intermediario meno timido e sufficientemente valoroso. Si inventa una folle passione, che sarebbe nata fra i due attori anche fuori dalla scena. La Garbo e John Gilbert si amano: è il fatto del giorno per i vari Confidential dell'epoca e per l'immortale Elsa Maxwell.
Pubblico morboso
I due divi interpretano una prima versione di Anna Karenina (la più famosa è però la seconda, quella che Greta recitò nel '35 con Fredrich March nella parte del conte Vronskij) e accreditano compiacenti l'ingenuità lievemente morbosa dei loro «fans». La presunta avventura con Gilbert non è però che un episodio nella carriera della «divina», che in realtà non è soltanto diva ma anche attrice, con un talento e una duttilità rari. Sa aderire con estrema consapevolezza ai personaggi più diversi, anche perché gli scrittori hollywoodiani sono espertissimi nel cavare fuori da un personaggio storico o letterario, quei tratti sentimentali più confacenti a lei.
La Garbo, donna sensibile, raffinata, forse anche appassionata, forse anche appassionata, diviene successivamente Anna Christie, da un dramma di O'Neill, Mata Hari, famosa spia internazionale, la Grushinskaja, riuscita caricatura di una volubile ballerina russa in Grand Hotel, la regina Cristina, Rita Cavallini, la famosa cantante italiana d'altri tempi, poi Margherita Gauthier, in un film che nel '36 battezza un nuovo attore piuttosto affascinante, Robert Taylor e ancora Maria Walewska; infine, Ninotchka, nella nota parodia anti-sovietica di Ernst Lubitsch.
Quest'ultimo film e Non tradirmi con me (un clamoroso insuccesso) arrivano in Italia dopo la guerra. Nel '45, quando la guerra finisce, la «divina» ha soltanto trentanove anni: ha «girato» il suo ultimo film a trentacinque anni poi, con decisione volontaria, si è ritirata. Da allora l'attrice svedese vive in una specie di olimpo dorato, con le favolose rendite dei capitali accumulati durante gli anni a Hollywood senza mai venir meno alla consegna impostasi quando, in seguito all'insuccesso del suo ultimo film Non tradirmi con me , decise di farsi dimenticare dal pubblico. Un esempio della caparbia difesa del suo isolamento lo si trova nella risposta che l'affascinante attrice svedese detta a Jean Cocteau, qualche anno fa, quando le propose il ruolo di protagonista in un suo film: «Non tornerò mai sullo schermo perché la gente vuole che io riffaccia quello che ho sempre fatto per poter dire che non sono più in grado di farlo».
Il grande ritiro
Ancora oggi di tanto in tanto, torna a circolare la voce che qualche regista famoso intenda affidarle una parte: è una voce che non viene nemmeno smentita, tanto sembra assurda. Effettivamente, niente appare meno probabile di un attivo ritorno della Garbo al cinema. L'attrice può essersi ritirata così presto per molte ragioni: consapevolezza che dopo avvenimenti cosi gravi come quelli del '39-'45 i gusti del pubblico sono radicalmente mutati; desiderio di evitare l'umiliazione che essa vide subita da tanti colleghi, quando si passò dal muto al sonoro; soddisfazione per una carriera rapida e trionfale e insofferenza al pensiero di dover mutare ritmo o assistere alla nascita di una nuova stella. Per riassumere tutte queste ragioni in una sola, basterebbe forse dire: buonsenso.
Come dice il titolo di uno dei suoi film minori, la Garbo è anche woman of affaire,donna d'affari ed ha saputo amministrare con egregia saggezza il proprio patrimonio economico ed artistico, uscendo di scena così silenziosasamente da lasciare dietro di sé un senso di sbigottita nostalgia, un profumo di marca decisamente pregiata, che si disperde molto lentamente. Unica e incomparabile, «la Garbo», per usare la definizione ufficiale adottata da Hollywood, è uscita dallo schermo ed è entrata nel suore dei suoi ammiratori: dei milioni e milioni di suoi tenaci e fanatici ammiratori tra i quali, come pochi sanno, è da annoverare Adolfo Hitler, che faceva proiettare nella sua saletta privata i film interpretati dalla «divina» e che intervenne personalmente perché uno degli ultimi film della Garbo, sebbene fosse diretto da un regista ebreo, venisse distribuita in tutte le sale cinematografiche del Terzo Reich.
Oggi la Garbo vive a New York ed è cittadina americana. Frequenta una limitatissima èlite aristocratica. Chi la incontra per esempio la baronessa italiana Afdera Fianchetti, ex-moglie di Henry Fonda dice di lei che ha conservato intatto il suo fascino di donna intelligente, lievemente misteriosa. Quel fascino che piovve su almeno due generazioni così generosamente, da rendere abbastanza attuale l'interrogativo implicito nella rassegna televisiva alla quale si assisterà dal 5 febbraio al 20 marzo, sul Primo canale, di alcuni tra i film più famosi della «divina» ( Mata Hari , di Gorge Fitzmaurice (1931); La regina Cristina, Rouben Mamoulian (1933); Anna Karenina, di Clarence Brown (1935); Camille ovvero Margherita Gauthier, di Gorge Cukor (1937); Maria Walewska, di Clarence Brown (1937) e Ninotchka, di Ernst Lubitsch (1939)).
L'interrogativo è questo: la Greta Garbo fu davvero una grande attrice? O fu soprattutto la squisita intrattenitrice di un'Europa che rivisse, attraverso di lei, quelle grandi passioni di cui sconvolta da una guerra, giustamente paurosa di un'altra l'Europa stessa non era più capace? Della Garbo si può dire con certezza questo: fu l'unica attrice europea che non si lasciò americanizzare, andando ad Hollywood. Il cavalleresco comportamento degli americani verso di lei, così bella, così altera ma così fragile nell'esasperato romanticismo dei suoi personaggi può esser preso come un simbolo. Di certo, né Eric von Stroheim né Eisenstein, per dire soltanto i due nomi più celebri fra gli europei emigrati nella «Mecca del cinema», furono trattati allo stesso mondo.
ROSANNA SORANI
Greta Garbo e Melvyn Douglas in una scena di «Ninotchka» girato nel '39. Fu uno degli ultimi film della «divina» svedese.
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