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ISPIRAZIONE

Romanzo tratto dall'omonimo film della Metro Goldwyn Mayer
interpretato da Greta Garbo e Robert Montgomery

RIASSUNTO DELLE PUNTATE PRECEDENTI:
Yvonne, l'affascinante mondana che ha ispirato i più celebri artisti parigini, è ora l'amante di André, uno studente ch'ella conobbe a una festa in casa di un suo ricco amico. Yvonne è sempre più innamorata del giovane, il quale, terminati gli studi, entro pochi mesi, dovrà recarsi all'estero. Mentre André è in casa di Yvonne, sopraggiunge Vignaud, un ricco industriale che con i suoi danari consente a Yvonne di condurre una vita lussuosa.

CAP VIII.

La tempesta si scatena.

     Chiuse dietro a sé la porta con cura, perché non riuscisse ad André di afferrare nemmeno una parola della conversazione che stava per avere con Vignaud, e si volse al suo antico amante. Egli si teneva dinnanzi a lei, pallidissimo, con gli occhi fuori del capo, tremante in tutte le sue fibre per l'ira. La destra stringeva nervosamente il bastone da passeggio, come se avesse stretta un'arma.
     – Ce modo è questo di fare? Come entrate così in casa mia, quando vi si dice che non ricevo? – gli chiese ella con voce aspra ma sussurrando appena.
     – Entrare così in casa vostra? – chiese Vignaud con grossolana ironia.
     – Si: entrare così in casa mia… perché questa è la mia casa, e quando non siete invitato a venirci dovete starne fuori…
     – Casa vostra! – ribattè furibondo Vignaud, lanciandole sguardi fiammeggianti attraverso le lenti spesse dei suoi occhiali… – Casa vostra? Peuh…
     Per quanto Yvonne avesse avuto cura di chiudere l'uscio dietro di sé, André poteva udire tutto quello che essi si dicevano nel corridoio. Si vergognava di doverlo ascoltare, ma pure non gli era possibile farne a meno.
     – Voglio sapere dove siete stata tutto questo tempo, – udì che Vignaud chiedeva ad Yvonne, con tono imperativo. – Vi ho cercata dappertutto…
     – Questi sono affari che non vi riguardano!
     André sentì una vampata di rossore salirgli al viso per l'onta, quando la voce di Vignaud disse:
     – Come non mi riguardano? Dal momento che sono io quello che paga…
     – Ora cominciate a darmi noia davvero; – si accontentò di rispondere Yvonne con voce languida. Poi chiamò forte: – Marta!
     – Non curatevi di Marta! Lasciatela stare dov'è – ribattè Vignaud
     – Vi aprirà la porta e vi porgerà il capello.
     Questo era troppo. Vignaud non si sentì di tollerare una simile offesa dalla sua mantenuta.
     – Ah sì, eh? Voi volete mettermi fuori dalla mia propria casa, pare…
     – Finché ci starò io, questa sarà casa mia, e non vostra! – insorse Yvonne, indietreggiando finché giunse con le spalle alla porta del salotto. Come ella vi giunse, la porta si aperse, sì che ella fu costretta a farsi da un lato, e André ne uscì.


… rimase immobile come una statua.

     – André, lo chiamò ella con la voce piena d'angoscia. Ma egli non le diede nemmeno uno sguardo, e si piantò di fronte a Vignaud.
     Questi lo guardò un istante fissamente, e gli chiese:
     – Che cosa fate qui, signore?
     – Mi duole che voi mi abbiate sorpreso in questa casa, rispose André. – Vi assicuro che la posizione della signorina mi era assolutamente sconosciuta; non mi sarei mai immaginato che…
     – Immaginato o no, signore, dovrete rendermene ragione!
     André, come offeso, si drizzò in tutta la sua statura e, fissando freddamente Vignaud negli occhi, gli rispose:
     – Sono disposto a rendervi tutte le ragioni che vorrete. Eccovi il mio biglietto da visita.
     – Va bene, signore. Vi prego di attendere a casa vostra la visita di due miei amici.
     André chinò il capo salutando dignitosamente, e si volse alle scale, per andarsene, senza degnare Ivonne di uno sguardo.
     – André, – gridò ella, tendendo le mani verso di lui. – André! Per amor di Dio, ascoltami… ascoltami!
     Senza volgersi indietro, André scese le scale, aperse l'uscio, e lo rinchiuse; non diede cenno di accorgersi della presenza della donna, neppure quando ella fece alcuni passi dietro a lui, come per seguirlo, sempre implorandolo.
     Quando egli se ne fu andato, Yvonne rimase un momento immobile come una statua, poi, come se cominciasse a comprendere poco alla volta che egli se ne era andato, le braccia le ricaddero lungo i fianchi, ed il volto le si coperse di pallore quasi mortale. Si volse, e tornò verso il salotto, con gli occhi spalancati, fissi nel vuoto, con un leggero tremito alle labbra.
     Vignaud, vedendola così disfatta, si sentì preso dal rimorso. Era stato offeso, è vero, il suo amore era stato calpestato, deriso, ma ora che vedeva quella donna soffrire, gli parve di essersi dimostrato troppo brutale.
     – Yvonne, – disse, cercando di rendere la sua voce più dolce possibile.
     – Mi pare che dobbiate essere contento, ora, – rispose ella. La sua voce non aveva toni, come non aveva più luca il suo viso.
     – Perdonami, Yvonne! Lo sai che non capivo più quello che mi facevo. Avevo perso il lume degli occhi, perché mi pareva ingiusto che tu mi trattassi così… Yvonne … – la sua voce si era fatta supplicante, si avvicinò a lei, tentando di prenderle una mano.
     Yvonne fece un piccolo gesto stanco: era troppo toccata dall'abbandono di André, per provare qualsiasi altro sentimento. Non risentiva più nemmeno ira contro chi era stato causa di questa sua disgrazia.
     – Andatevene, adesso, – gli chiese, parlando con voce bassa e stanca. Poi gli passò dinanzi, e senza dirgli altre parole, entrò nel salotto. Un istante dopo il leggero scatto della serratura della porta di strada le disse che egli se ne era andato.
     Lentamente si avvicinò al caminetto e appoggiò le mani alla mensola che correva tutta attorno alla cappa, piegando il capo, e guardando le ceneri del fuoco che, benché si fosse alla fine, d'aprile, vi faceva accendere ogni sera. Si sentiva sfinito, le pareva che qualche cosa fosse morta in lei, dopo la repentina caduta da quel momento d'estasi felice a quell'estremo stato di disperazione.
     Così la trovò Marta, entrando nel salotto col viso composto a dolore e a compassione.
     – Ve lo avevo detto, – cominciò a rimproverarla, ponendo nel suo dire tutta la dolcezza che la erra possibile. – Ve lo avevo detto: ora se ne sono andati entrambi. Ma sapete? Io sono persuasa che, se gli telefonate, il signor Vignaud sia disposto a ritornare, e buttarsi ai vostri piedi. Volete che gli telefoni io? Sarebbe un gran peccato sciupare la squisita cenetta che vi ho fatto preparare.
     Yvonne, che non l'aveva nemmeno ascoltata, si drizzò di botto. Si era decisa a seguire una linea di condotta, e l'aver presa quella decisione l'aveva confortata.
     – Fa in fretta, dammi il mio abito… quello grigio. In fretta! – ordinò. – Poi mi darai il cappello nero.
     Tra sé e sé, nell'interna agitazione, pensava:
     – Un duello! Und duello tra di loro per colpa mia!
     Marta, meravigliata, obbedì, pur chiedendo:
     – Dove volete andare, signorina Yvonne?
     Yvonne non rispose alla sua, domanda; s'avviò verso il suo boudoir , dicendole:
     – Poi chiama subito un taxi
     – No, cara. Non vorrete mica commettere qualche altra sciocchezza…
     – Su, Marta, fa in fretta, – la sollecitò la padrona, sempre senza dar retta alle sue proteste, – altrimenti potrei giungere troppo tardi!
     Stava eretta, coperta solamente di una combinaison di seta nera, con ai piedi l'abito che si era tolta, in attesa di quell'altro che si doveva mettere, tutta tesa al suo scopo, nutrendo la speranza di potersi riprendere André, a malgrado di quello che era avvenuto. Si vestì rapidamente, si diede un tocco di rosso alle labbra ed una spolveratine di cipria alle guance, e si guardò nello specchio come per assicurarsi della sua bellezza, prese la borsetta e fu pronta per uscire.
     Diede al conduttore del taxi l'ordine di condurla alla casa di André: aveva tanta fretta di vederlo, che non si accorse nemmeno di salire le scale e si ritrovò dinnanzi al suo uscio a cui picchiò, senza darsi nemmeno tempo di riprender fiato.
     Nessuno rispose.
     – André, – diss'ella forte, parlando vicino all'uscio. – Per favore, André, lasciami entrare!
     Neppure quell'invocazione ebbe risposta. Tentò di spingere l'uscio, ma era chiuso a chiave. Tornò a chiamare, con la voce piena d'angoscia e di spasimo.
     – André! André!
     Abbondanti lacrime le solcavano le guance. Si aggrappò al pomo e scosse la porta.
     Poi vi picchiò ancora col piccolo pugno chiuso, chiamando:
     – André! André! André!
     D'un tratto rimase col pungno in aria. La porta si era improvvisamente spalancata, e André le era comparso sulla soglia, indossando una giubba da camera.
     – Che cosa vuoi?
     – Senti, André: non sono venuta a tormentarti. Me ne andrò subito appena ti avrò detto. Volevo solamente spiegarti…
     – È inutile. Non v'è nulla da spiegare.
     – Ma sì, invece, Andrè: oh, per favore ascoltami! Un momento, solamente un momento.
     Aveva i bellissimi occhi pieni di lacrime; il petto le si sollevava affannosamente. André ne fu commosso, e le permise di entrare, spalancando l'uscio e facendosi da un lato, perché le passasse dinanzi.
     – André voglio dirti soltanto questo, – cominciò Yvonne: – io non ti volevo ingannare. Credevo che tu sapessi qual'era la mia condizione, poiché lo sanno tutti a Parigi. Non mi sarei mai sognata che tu non sapessi…
     – Non te ne faccio colpa, – diss'egli parlando con calma. Sono io che ho avuto torto… quella sera. E ti credevo libera, delle ricchezze non m'importava nulla. Mi avevi davvero affascinato. Non avevo mai veduta una donna come te. Eri così diversa da tutte quelle che avevo conosciute fino allora.
     – Oh, André…
     – Ma, ora che so, – continuò egli, – ora che so, capirai, non potrei più continuare così. Credo che anche tu te ne renda conto abbastanza facilmente. Noi non apparteniamo allo stesso mondo. Viviamo troppo distanti, quasi a cifre astromiche di distanza.
     – Ma io l'ho lasciato, André. Egli non è più il mio amante. Non lo avevo nemmeno più riveduto, fin dalla notte che ti ho incontrato la prima volta, te lo giuro. E glielo avevo anche detto, che ne avevo abbastanza di lui e dei suoi denari… – protestò Yvonne angosciata, facendo und grande sforzo per parlare, poiché si sentiva venir meno.
     – Hai fatto male a rompere con lui, se lo hai fatto per me. Malissimo, hai fatto, – rispose André, con voce sempre più fredda e calma. – Lo sapevi, anche, che io non avrei potuto fare per te quello che egli è in grado di fare. Io sono povero, non ho ancora nemmeno cominciata la mia carriera. Non sarei in grado di fare nulla affatto, per te.


– André – gridò ella – André …

     Le lagrime ricominciarono a scorrer abbondanti per le guance d'Yvonne.
     – André, io ti amo: non sai, non riesci nemmeno ad immaginarti quanto ti ami! E non ho amato, me ne accorgo ora, mai nessuno prima di te. Mai nessuno. Tu devi capirmi. Tu mi devi credere. E devi credere anche che non tornerò mai più a fare una vita simile, neppure se ti dovessi mai più vedere.
     – Mi duole tutto quello che mi dici, veramente mi addolora. Ma… devi pur comprendere con mi sia assolutamente impossibile di…
     – Oh, basta basta! Non dire più nulla! So già quello che stai per dirmi! – gridò ella, interrompendolo. – So che non potrò mai pretendere che tu torni a provare per me gli stessi sentimenti di una volta. Non lo spero nemmeno. Tutto quello che ti chiedo, vedi, – e qui la sua voce si fece umile e implorante, – è che tu mi permetta di continuare ad amarti…
     – Come puoi chiedermi una simile cosa, Yvonne?
     – Per favore, te ne scongiuro.
     – Ma io non posso far nulla per te. Non ho un soldo!
     – Non ti chiedo denaro, André. Tutto quello che vorrei… sarebbe che tu mi permettessi di tornare qui da te… almeno qualche volta.
     Egli non rispose. Ella lo scrutò in volto, sperando di vederlo impietosito, ma non vide in lui segno di tenerezza o di compassione. Con un sospiro di rassegnazione, Yvonne si strinse nelle spalle, si volse, e si diresse lentamente verso la porta.
     – Va bene. Pazienza; me ne andrò! – disse. – Fa soltanto questo per me. André, soltanto questo. Cerca di dimenticare quello che è avvenuto oggi… e di ricordare solamente le ore felici che abbiamo trascorso assieme… sono state poche, – i singhiozzi le impedivano di parlare, – poche, ma davvero felici. Te ne ricorderai André? Ti ricorderai delle ore nostre, trascorse prima di quello che è avvenuto oggi?
     Tacque, e lo guardò sospesa nell'attesa di una risposa. Ma egli taceva, tenendo gli occhi bassi. Ella gli tese lo mano, aggiungendo:
     – Allora, addio. Cerca di non odiarmi.
     Egli esitò, ma poi prese la mano che ella gli tendeva. Ella lo guardò con un pallido sorriso, e rialzò il volto verso il suo. André non potè resistere a quel muto invito: si chinò su di lei, e la baciò sulle labbra, appassionatamente.
     – André, allora… allora mi perdoni, davvero, tutto?
     Egli la cinse con le braccia baciandola con trasporto, ma non le rispose. Era troppo forte la sua commozione, e d'altra parte qualsiasi parola avrebbe turbato quella scena magnifica e forte del loro amore rinovvellato.


col viso composto a dolore e compassione…

CAP. IX.

I giuochi del destino

     La fresca alba di un mattino di maggio cominciava a spargere la sua luca rosata sul bosco di Vincennes dove, sul margine di una radura, attendevano due automobili. In una di esse era giunto il signor Vignaud con due amici ed un medico, nell'altra André Montel, pur esso con due amici.
     Ora gli avversari con il collo dell'abito nero rialzato, si tenevano l'uno di fronte all'altro, a venti passi di distanza, impugnando ciascuno la propria pistola, aspettando che il direttore dello scontro desse l'ordine di sparare.
     André, con l'arma pronta, sentì un leggero brivido corrergli dalla nuca alle spalle. Non aveva la forza di pensare a nulla. Yvonne non esisteva più, in quel momento, per lui. Vedeva solamente, dinanzi ai suoi occhi, il tondo viso dell'avversario, pallido per la notte insonne, con gli occhi gonfi, forse perché aveva pianto. Non vi era, su quel volto, ombra d'ira o di risentimento; pareva piuttosto il volto di un agnello che, d'un tratto, si fosse sentito per un attimo leone.
     Certamente Vignaud voleva andare fino alla fine di quello che aveva voluto, più per amor proprio che per coraggio o per risentimento, e aveva rifiutato di riconciliarsi con l'avversario.
     La voce del direttore giunse all'orecchio di André come se fosse venuta di lontano, come se fosse una cosa irreale, non di questo mondo:
     – Siete pronti, signori?
     Poi, uno, due, tre:
     – Fuoco!
     Le due pistole spararono quasi contemporaneamente. André sentì un colpo alla spalla, e rimase, un attimo, in piedi, sgranando gli occhi in viso all'avversario dalla bocca della cui pistola usciva un leggero filo di fumo. Poi gli si annebbiò la vista, e cadde pesantemente sull' erba.
     La convalescenza era stata, in seguito, rapida. La forte fibra del giovane aveva resistito vittoriosamente alla ferita di striscio che la palla aveva fatto al polmone. Nella sua stanza si erano installati lo zio Julien, che si dava il turno con zia Pauline e Madeleine.
     Yvonne aveva tentato, tre due, tre volte, di vederlo, ma i parenti facevano buona guardia. La zia Pauline aveva dato ordine di non lasciarla salire, così ella, dopo replicati tentativi, sempre inutili, era scomparsa.


“… un duello, un duello per cola mia…”

     Verso la fine del mese, André potè ricominciare ad uscire, prima in vettura, poi facendo qualche passo a piedi, finché, finalmente fu in grado di fare più lunghe passeggiate, specialmente nei dintorni, e respirare l'aria balsamica della campagna, che aiutava la ferita a rimarginarsi rapidamente. Di Yvonne e della sua avventura, benché cose recenti, conservava un distante ricordo: la gioventù che permetteva alla sua ferita fisica di rimarginarsi rapidamente, permetteva pure al suo morale di curare le proprie lesioni.
     Ricominciò a far visita agli amici, a tornare a stringere le antiche relaziono. Andrò a vedere Delval, si recò da Jouvet.
     – E Yvonne? – gli chiese questi.
     André per tutta risposta, si strinse nelle spalle e accese una sigaretta.
     – Già dimenticata, allora? – riprese l'altro.
     Di nuovo André rispose con un solo cenno del capo.
     – Ah, siete ben forte e ben fortunato, voi! Tutti noi abbiamo tanto sofferto per quella donna noi, uomini scettici e cinici o sentimentali, ma pratici del mondo… E voi, un giovanotto, scusate se ve lo dico, quasi imberbe… Siete davvero fortunato… a meno che non siate insensibile.
     – Ammettiamo che sia così, – rispose con poche parole André. E il discorso rimase a questo punto.
     Ora, una sera, poco tempo dopo questo colloquio, il bel corpo nudo d'Yvonne, sottile e liscio come una statuina d'argento, posava tra due alte finestre, nello studio di Coutant. Si teneva immobile nella posa in cui era stata messa dallo scultore; Coutant lavorava con ostinato impegno, impastando e modellando, con le potenti mani, la creta da cui, lo sentiva, sarebbe nato il nuovo capolavoro.
     Il volto della bellissima era intonato a mestizia profondo: la carne pareva di cera, e lasciava trasparire, alle tempie, il delicato intrico delle vene azzurrine.
     I capelli, folti e sottili, di color biondo cenerino, le facevano attorno al capo una specie di aureola leggermente opaca, e gli occhi, sotto alla loro ombra, assumevano ombre e profondità misteriose.
     La bocca, non dipinta, tagliava rossissima il pallore del viso. Si vedeva che ella aveva molto sofferto, che soffriva ancora. Le pene dell'animo davano a quella donna pur così attaccata alle cose della terra, un aspetto quasi immateriale.
     E persino il suo corpo, quel corpo la cui bellezza era conosciuta da tutti gli amatori di belle arti che lo avevano visto riprodotte in tante tele, in tante statue, ora, benché nudo, aveva quasi un'espressione pudica, come di cosa che appartenga solamente ad ideale, quale è l'arte.
     Posava, e taceva: le pupille fissavano un punto vago, nell'infinito, oltre le mura di quell'enorme stanzone, non già come se ella pensasse o cercasse di guardar nel futuro, come attratte dalla visione di una cosa inesistente, e pure già reale; morte o felicità, gioia od angoscia, inevitabile e fatale. E anche Coutant taceva, tutto preso dalla sua fatica. Lo sforzo del suo cervello, di tutto il suo essere, per afferrare quella bellezza, gli faceva gonfiare le vene del collo e della fronte come quella sera in cui aveva in casa di Delval, supplicato quella donna. Le sue mani impastavano con forza la creta, dura e resistente; mani di uomo forte che sa spezzare gli ostacoli, ma si facevano poi leggere come ala di farfalla, per accarezzare qua e là la materia grezza che prendeva forma, che assumeva l'inconsistenza del sogno. Di tratto in tratto, quando la stecca o li pollice si fermavano improvvisi dinanzi a qualche difficoltà, dalla sua gola, sotto lo sforzo del cervello, usciva un gemito come quello che esce dalla gola di chi faccia una violenta fatica muscolare.
     Ma quando alzava gli occhi sul modello, e vedeva quella bellezza palpitante dinanzi a lui, gli occhi gli si schiarivano, e il volto, pur rimanendo pensieroso, gli si illuminava tutto di gioia intima; gioia di creatore, non gioia d'amante.
     E persino il suo corpo, quel corpo la cui bellezza era conosciuta da tutti gli amatori di belle arti che lo avevano visto riprodotte in tante tele, in tante statue, ora, benché nudo, aveva quasi un'espressione pudica, come di cosa che appartenga solamente ad ideale, quale è l'arte.
     Posava, e taceva: le pupille fissavano un punto vago, nell'infinito, oltre le mura di quell'enorme stanzone, non già come se ella pensasse o cercasse di guardar nel futuro, come attratte dalla visione di una cosa inesistente, e pure già reale; morte o felicità, gioia od angoscia, inevitabile e fatale. E anche Coutant taceva, tutto preso dalla sua fatica. Lo sforzo del suo cervello, di tutto il suo essere, per afferrare quella bellezza, gli faceva gonfiare le vene del collo e della fronte come quella sera in cui aveva in casa di Delval, supplicato quella donna. Le sue mani impastavano con forza la creta, dura e resistente; mani di uomo forte che sa spezzare gli ostacoli, ma si facevano poi leggere come ala di farfalla, per accarezzare qua e là la materia grezza che prendeva forma, che assumeva l'inconsistenza del sogno. Di tratto in tratto, quando la stecca o il pollice si fermavano improvvisi dinanzi a qualche difficoltà, dalla sua gola, sotto lo sforzo del cervello, usciva un gemito come quello che esce dalla gola di chi faccia una violenta fatica muscolare.
     Ma quando alzava gli occhi sul modello, e vedeva quella bellezza palpitante dinanzi a lui, gli occhi gli si schiarivano, e il volto, pur rimanendo pensieroso, gli si illuminava tutto di gioia intima; gioia di creatore, non gioia d'amante.
     Da una stanza vicina, il suo salotto, giungeva, attraverso alla porta chiusa, una canzonetta di moda, gracidata da un fonografo e qua e là, come i velo di fumo di una sigaretta, che filtrano da qualche fessura dell'uscio da un'altra stanza, squilli di risa e battute di dialogo, il tutto smorzato da una pesante portiera. Alcun amici si erano dati convegno da lui, ma Coutant, che aveva riconquistato la sua modella, non prestava loro attenzione, e lasciava che si divertissero di là, senza di lui.
     Ed ecco che il braccio che Yvonne teneva sollevato, benché appoggiasse su di una colonna, tremò leggermente; una rapida, quasi impercettibile vibrazione le corse per tutto il corpo. Coutant se ne avvide.
     – Sei stanca? – le chiese, staccandosi di un paio di passi dal cavalletto, per vedere il suo lavoro d'un solo solpo d'occhio.
     – Un poco: è logico. Era tanto tempo ormai che non posavo, che non ci sono più abituata…
     – Sta ancora ferma pochi istanti, cara, fammi questo favore. Do solo un colpetto qui… ecco… vedi… poi ti lascio riposare.
     Il suo pollice corse, carezzevole, sull'anca della statuina, poi Coutant, asciugandosi il dito in uno straccio, e dirigendosi ad un piccolo lavatoio in un angolo, disse:
     – Ecco fatto. Se vuoi riposare, ti concedo libertà. Per oggi basta. Riprenderemo il lavoro domani.

( continua )

 

from:   Cinema Illustrazione,         16.03.1932
© Copyright by   Cinema Illustrazione

 



 

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