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ISPIRAZIONE

Romanzo tratto dall'omonimo film della Metro Goldwyn Mayer
interpretato da Greta Garbo e Robert Montgomery

CAP II.

La donna senza cuore.

     Quando Yvonne ebbe terminato di pronunciare quelle parole, le parve che attorno le si fosse fatto un vuoto enorme, un silenzio infinito e tetro. Solo, nell'orecchio, le ronzava ancora quello che poco prima aveva detto:
     – Io sono senza cuore. Io sono senza cuore, – tristi e crudeli come la cosa stressa, più crudele, del resto, per lei che non per gli altri che credevano soffrire a causa della bella insensibile.
     – In sono senza cuore, io sono senza cuore.
     Un senso pungente di amarezza, una improvvisa nausea di quella vita le salirono dal cuore al cervello, e si sentì più sola e più triste, abbietta quasi, per quella commedia che si era imposta di rappresentare, per difendere se stessa dalle ingiurie della vita.
     Mentre ripeteva tra sé e sé quelle parole, che le risuonavano nel cervello come tanti colpi di gong, le parve di avvertire una strana attrazione magnetica che la costringeva a rivolgere ancora i suoi sguardi al giovane sconosciuto. Era sempre al suo posto, intento ad osservare le coppie che allegramente si abbandonavano alle danze, e ad Yvonne parve di leggere sul suo volto lo stresso senso di solitudine che la opprimeva. Una piccola ondata di tenera simpatia le gonfiò il cuore: dunque anche lui, pur così giovane e così attraente, era solo!
     Delval si accorse di quel suo sguardo ostinatamente fissato sul giovanotto, e le chiese, senza dare troppa importanza alla sua interrogazione:
     – Si può sapere chi è che state osservando con tanta attenzione?
     Prima che Yvonne rispondesse, trascorse ancora qualche secondo. Poi, senza abbandonare con lo sguardo il punto che fissava, ella, a modo di risposta, chiese:
     – Chi è quel giovanotto laggiù? Quello che ha quei grandi occhi da bambino…
     – Non posso immaginarmelo nemmeno lontanamente, – rispose Delval scrollando le spalle, – deve essere stato condotto qui da qualcuno dei miei invitati. Lo sapete che le mie porte, in occasione di queste serate, sono aperte a tutti.
     L'orchestra tacque. Poi si levò un rullare di tamburi. Gli ospiti di Delval si volsero tutti verso il paco della musica, incuriositi, in attesa di sentirsi annunciare qualche novità.
     – Venite con me, – Delval disse ad Yvonne. – Ho fatto venire una «troupe» di ballerini del Caucaso, che si produrranno nella loro caratteristica danza dei coltelli. È uno spettacolo che fa accapponare la pelle, ma sempre molto interessante da vedere.
     Yvonne sorrise: da una porticina aperta alle spalle dell'orchestra si vedevano già le alte figure dei danzatori del Caucaso, con il capo coperto dai caratteristici berretti di pelo, portati arrogantemente.
     – Non mi aspettate, – disse Yvonne a Delval. – Ho qualche cosa da fare; ci raggiungerò fra poco.
Nell'occhio di Delval si accese una scintilla di ironia, mentre il suo sguardo si portava da Yvonne al giovane che ella stava osservando. Inchinandosi a lei correttamente, si allontanò.
     Era molto divertito dal sospetto di quello che interessava Yvonne, e si riprometteva di stare ad osservare, da spettatore indulgente, lo sviluppo di quella passione che vedeva nascere.
     Come i danzatori si lanciarono nella sala da ballo, che era stata lasciata libera dagli ospiti, la folla degli invitati si raccolse attorno ad essi, ciascuno cercando di arrivare alla prima fila, per godere meglio di quello spettacolo, pittoresco ed interessante. Nella confusione, Yvonne diresse lentamente i suoi passi verso il giovanotto, che non si accorgeva di lei che si stava avvicinando, e si teneva, quieto, nella ultime file degli invitati, attento a quello che gli artisti stavano per compiere.


… e si sentì più sola, più triste…

    Proprio mentre le prime note selvagge della danza dei coltelli risuonavano per la sala, Yvonne gli giunse vicina, e gli sorrise dolcemente. Egli la guardò negli occhi, e arrossì come un ragazzo colto in fallo. Con aria di noncuranza ella trasse una sigaretta del suo prezioso astuccio, continuando a guardarlo con un sorriso profondo pieno di mistero.
     – Buona sera, – gli disse con voce calma e non troppo forte.
     – Buona sera, signora – rispose il giovane con una certa rigidezza, alquanto imbarazzato.
     La meraviglia che egli dimostrava al vedersi rivolgere la parola da una donna così bella e così misteriosa, divertì Yvonne.
     – Mi pacciono i vostri occhi, – gli disse, come per spigare perché gli avesse rivolta la parola. – Non ve ne dispiace?
     Il ragazzo arrossì ancora di più.
     – Ma, io… veramente, io… – balbettò.
     Yvonne, sempre sorridente, si avvicinò a lui, facendo ondeggiare il suo bel corpo ancor più provocantemente.
     – Si può sapere chi siete? Ho chiesto al padrone di casa se vi conosceva, e mi ha detto di non avervi mai visto prima di ora.
     – Oh, bella, perché volete sapere il mio nome?
     – Così, una mia idea.
     –Ebbene, mi chiamo André.
     – Solamente André?
     – André Montel, vi chiedo scusa di non avervelo detto prima, – corresse egli.
     Yvonne portò alle labbra la sigaretta che non aveva ancora acceso e André, imbarazzato sempre più, si affrettò a cercare nelle sue tasche la scatola dei fiammiferi. Vi frugò dentro nervosamente, e ne accese uno che lo offerse con le mani così scosse dal tremito, che Yvonne dovette tenergliele ferme tra le sue per poter accendere la sigaretta. Mentre tirava la prima boccata, i loro occhi si incontrarono al di sopra della fiamma.
     – Siete curioso voi, – osservò Yvonne, mentre il giovane spegneva il fiammifero, buttandolo poi in un vaso vicino. – Quanti ani avete?
     – Ventuno, signora – rispose egli, sempre più confuso per trovarsi alla presenza di una donna così eccezionalmente bella, e per i desideri che ella aveva di colpo risvegliato in lui.
     – Siete anche voi un'artista? – continuò allora a chiedergli, inarcando le sopracciglia con una certa aria di disdegno.
     – No signora, non ho questo onore.
     – Ne sia ringraziato il cielo! – esclamò Yvonne allegramente. Poi gli chiese ancora: – Vi divertite proprio molto, voi qui?
     – Ma… ecco… a dirvi la verità. conosco tanta poca gente che non posso dire di divertirmici davvero… – rispose egli.
     – E a me, invece – ribatté Yvonne con amarezza, – succede esattamente il contrario. Conosco troppa gente perché mi ci possa trovare a mio agio.


… nel suo sguardo di tentatrice, passò un'ombra che fu velata da un sorriso…

     Ella continuava a fissare intensamente, come per studiarne ogni moto dell'anima, divertita da quella sua ingenuità un poco provinciale, e si avvicinò ancora di più a lui, di modo che quasi, di tra gli abiti, ciascuno poteva sentire il calore del corpo dell'altro. Nel suo sguardo di tentatrice passò un'ombra, che fu dileguata da un sorriso. Poi, con tutta la naturalezza che la fu possibile assumere in quel momento, lo invitò:
     – Sareste disposto a farmi il piacere di riaccompagnarmi a casa?
     Egli fu meravigliato di quella domanda che veramente non si attendeva.
     – Signora?
     – Su, accompagnatemi a casa, vi dico, – e, senza nemmeno attendere che egli le rispondesse, gli volse le spalle e si avviò, uscendo dalla sala, verso il vestibolo, dove era stato disposto il guardaroba.
     Come immerso in un sogno ipnotico, André non seppe ribellarsi, e la seguì docilmente. Mentre varcavano la soglia della sala da ballo, la nuda spalla di Yvonne toccò il braccio del giovane: in quel momento la selvaggia musica della danza dei coltelli segnava un crescendo travolgente.

RIASSUNTO DELLA PRIMA PUNTATA
La bella Yvonne è in casa di Delval, dove si dà un grande ballo. Fra gli invitati vi è lo scultore Coutant, che fu amante di Yvonne e un giovane che attira l'attenzione dell'affascinante mondana.

     Facendo bene attenzione che André, che ella teneva d'occhio, non la udisse, come furono sulla porta che conduceva alla strada, ella disse sottovoce al suo valletto:
     – Voi potete tornare a casa. Non credo di aver più bisogno dell'automobile.
     Poi si volse ad André e, prendendogli il braccio: – Su, – disse – facciamo due passi. Dove abitate?
     – Chi, io? – chiese André, che non si riaveva ancora della sorpresa.
     – Sì, voi…
     – Verso le Halles. Ben lontano di qui.
     – Bene, scendiamo a piedi per un pezzetto, almeno fino alla Place de la Concorde, poi prenderete una vettura.
Così si avviarono nella notte, stretti sotto braccio, i due esseri che pochi istanti prima non si conoscevano ancora, e che la noia aveva messo in contatto, ad un ballo di fine quaresima.
     Tacevano. André per timidezza, Yvonne perché non sapeva che cosa dirgli, tutta felice di quella singolare avventura.
     Rare automobili passavano a quell'ora lungo la ricchissima strada deserta.
     – Prendiamo quel vecchio fiacre, – disse Yvonne ad André. – Sarà una cosa divertente, e diversa dalla solita automobile.
     Un baffuto cocchiere sonnecchiava a cassetta mentre il cavallo del decrepito veicolo lo trascinava come le sue povere gambe potevano, verso il centro, alla ricerca di qualche cliente. Andréé fece fermare la vettura, gridando perché il fiaccheraio aprisse almeno un occhio, ed aiutò Yvonne a salire nella miserabile carrozzaccia, mentre il cocchiere, più per conto suo che per manifestare ad altri il suo pensiero, strizzava un occhio afferrando la frusta in attesa di sapere a che indirizzo avrebbe dovuto condurre quella elegante coppia di giovani signori.
     – È davvero una cosa divertente, una corsa in una carrozza simile! – esclamò gaiamente Yvonne, sedendosi sul sedile coperto d'incerato. Si sentiva più allegra e più libera, ora che la lussuosa automobile che le era stata regalata dal suo amante si dirigeva vuota verso casa.
     – Ma povero cavallo! – disse André.
     Il cocchiere, in quel mentre si volse, e chiese dove doveva andare.


…gli sorrise dolcemente.


… senza abbandonare con lo sguardo il punto che fissava…

     – Su, dategli il vostro indirizzo! – disse Yvonne ad André.
     – No, signora. Prima voglio accompagnare a casa voi.
     – Non fate lo sciocco. Su, dite dove abitate.
     Sempre più meravigliato, ma del resto assai soddisfatto, André sporse il capo dal finestrino, e ordinò:
     – Va in Rue Caron al numero 99!
     Con cigolii e scricchiolii la vettura si mosse, al molle clac clac del trotto della povera bestia sfinita.
     Nell'interno della carrozza, Yvonne prese una mano di André, se la appoggiò al petto, sì che egli poté sentire come ella ansasse ed il cuore le battesse rapido.
     Poi tutti e due scoppiarono a ridere allegramente.
     Intanto, nella sala da ballo di Delval, la danza dei coltelli era terminata, e gli ospiti si erano di nuovo sparpagliati per le sale, chi affollandosi al bar, chi al buffet, chi ricominciando a danzare. Lulu, la grassa e bonacciona amica di Gavarni, il compositore d'operette la cui mancanza di senso morale era largamente compensata dalla bontà del cuore e dalla generosità, si divertiva cercando di costringere Bubu, il suo pechinese favorito, a bere dello champagne in un bicchiere. Liane, in piedi presso a lei, rideva osservandola fare.
     Finalmente Lulu era riuscita a far sì che il cagnolino si decidesse ad intingere la sua rosea linguetta nel liquido frizzante, quando verso di loro si avanzò un bell'uomo di una certa età, alto e robusto, calvo, con gli occhi neri e penetranti che brillavano dietro alle spesse lenti degli occhiali. La fronte del nuovo venuto era accigliata.
     – Lulu, per piacere, volete dirmi se avete visto Yvonne? – chiese egli alla donna, senza dissimulare l'ansia che gli vibrava nella voce.
     Lulu, senza cessare di tener d'occhio Bubu che bevevo, gli rispose con noncuranza.
     – Sì, mi pare d'averla vista qualche tempo fa. Si era già messa il mantello e mi pare che stesse per uscire…
     – Uscire di dove? – insistette l'uomo.
     – Dalla porta, naturalmente. Non credo che le sia saltato il ticchio di uscire dalla finestra, non vi pare? – rispose Lulu, senza alzar il capo, ma con voce allegra e cordiale, malgrado la presa in giro.
     Mentre l'uomo si allontanava senza nemmeno salutare, con le rughe dell'ansietà ancora d più approfondite sulla fronte, Lulù osservò:
     – Che peccato, pover'uomo, che sia proprio andato ad innamorarsi in quel modo di Yvonne. Ella la fa soffrire, non forse tanto per cattiveria, ma perché non gliene importa niente di lui.
     – Lui, chi è? – chiese Liane che, abbiamo visto essere ancora nuova a quel mondo.
     – L'industriale Vignaud. È uno degli industriali più ricchi di Parigi. È lui che mantiene Yvonne fin da quando ella ha abbandonato Coutant. È un brav'uomo, che con lei si è comportato nel modo più perfetto. Le ha regalata la palazzina dov'ella abita, e l'automobile, e i gioielli. La veste come una principessa, e le paga tutta la servitù. Se io fossi in lei, non lo tratterei a quel modo, anzi, cercherei di ingraziarmelo ogni giorno più. Caspita, un riccone simile!
     Come fu fuori della porta, Vignaud, sempre più furioso per la scappata di Yvonne, chiamò un taxi che passava e gridò al guidatore l'indirizzo di lei.
     L'automobile non aveva ancora percorso cento metri, che l'uomo, spinto dalla gelosia al parossismo del furore, si sporse dallo sportello, gridando al conduttore:
     – Va più in fretta! Non puoi andare più in fretta? Cento franchi di mancia se arrivi in meno di dieci minuti.
Il guidatore accelerò cosi bruscamente che il taxi fece quasi un balzo avanti, e cominciò una corsa vertiginosa nelle deserte vie della metropoli. Non erano ancora trascorsi i dieci minuti di tempo che Vignaud aveva concesso, che la vettura si arrestò dianzi alla civettuola palazzina che il ricco industriale aveva fatto costruire per Yvonne. Balzò di macchina, gettò un pugno di monete al guidatore, senza contarle e, attraversato in un salto il marciapiedi, aperse la porticina di strada con una chiave che teneva egli stesso, e si trovò in un elegantissimo vestibolo. Diede un'occhiata attorno, con la fronte solcata dalle rughe scavate da un'ansia sempre più tormentosa. Nessun segno che Yvonne fosse già rientrata! In quel mentre, Marta, una buona donna di mezza età, che serviva Yvonne in qualità di cameriera, con la devozione di un can barbone, scendeva le scale ancora in camicia da notte con le spalle coperte da uno scialle da contadina.
     – Dov'è la tua padrona? – le chiese Vignaud con voce secca e tagliente.
     – Non è ancora tornata, signor Vignaud; – rispose Marta con un benigno sorriso che indicava l'innocenza del suo animo.
     – Tu menti! – urlò Vignaud.
     Marta si strinse nelle spalle.
     – Ebbene, se ne sapete più di me, perché me lo chiedete? Del resto, cercatela voi stesso, signor Vignaud.
     – La cercherò! – strillò l'uomo la cui collera stava raggiungendo il parossismo. – Puoi star sicura che la cercherò!
     Fece le scale a quattro a quattro e spalancò la porta della camera da letto di Yvonne. Il letto era vuoto, sulla tavola da toelette nulla era stato toccato: evidentemente la ragazza non era tornata.
     Vignaud uscì come un turbine, e si lanciò giù per le scale.
     – La cercherò fin che non riesca a trovarla, – gridò a Marta uscendo, – e sta pur tranquilla che la troverò!

CAP. III.

L'a dell'amore.

     Il vecchio cavallaccio già bianco che trascinava la vettura di piazza avanzava lentamente, facendo risuonare per le vie deserte il vuoto tonfo dei suoi zoccoli ferrati. Attraverso la leggera nebbia che ricopriva tutta Parigi prima dell'alba, le lampade delle vie splendevano fiocamente come fiori pallidi e strani.
     Il velo grigio di quella nebbia quasi primaverile, si alzava dalle acque della Senna, dove i pontoni giunti dai più lontani punti della Francia scaricavano le vettovaglie portate per il ventre gargantuesco della enorme città. La vita cominciava qua e là a fervere, con il ritmo consueto.
     Entrambi erano preso dal fascino dell'ora: Yvonne aveva appoggiata la testa alla spalliera della carrozza, e guardava, oltre i finestrino, le stelle agonizzanti nel cielo, e si sentiva lentamente avvolgere in un dolcissimo senso di gioia infinita, di nuovo desiderio di vivere, di amare.
     André le sedeva vicinissimo, e la guardava con occhi intenti, in quella penombra, affascinato da quella bellezza profonda e misteriosa che gli sedeva vicino, che andava con lui verso una meta ignota, dove chissà quali nuove sensazioni, quali nuove esperienze lo attendevano.
     Non v'è nulla che riempia l'anima di gioia e di sgomento quanto un nuovo amore: è una porta che si apre sul futuro infinito, sul regno del sole, oltre al quale si sente il regno della tenebra.
     Yvonne sentiva lo sguardo di lui, inquisitivo e ammirativo al tempo stesso e le piaceva rimanere così, con gli occhi distolti dai suoi; si accorgeva di tutto quello che agitava in quel momento il giovane, intuiva tutte le domande che egli rivolgeva a se stesso e le piaceva rappresentare col ragazzo inesperto la parte di donna misteriosa e fatale.
     Se, però, il giovane era incuriosito sul suo conto, ella non lo era meno sul conto di lui. Dopo una lunga pausa di silenzio le sue labbra si schiusero ad un sorriso di soddisfazione e rivolta a lui, gli chiese:
     – A proposito, noi non ci conosciamo ancora: non abbiamo avuto il tempo di presentarci completamente l'uno all'altra, tanto più che nessuno si è preso questo incarico. Su, André, raccontatemi di voi, ditemi chi siete e che cosa fate. Voglio sapere tutto sul vostro conto.
     – Ma… – André si sentiva ancora un poco a disagio, dinanzi a questa donna così fragile, che pure lo dominava con il suo spirito, con la sua volontà. – Ma… davvero, la mia vita è così breve ancora, che non avrei nulla da raccontarvi di me. Tutto quello che posso dirvi è che sono un semplice studente…
     – Dev'essere una cosa molto bella, l'essere studente – disse Yvonne. – So che sono, in genere, esseri felici e spensierati. Ma che cosa studiate?
     – Oh, una brutta scienza e seccante: scienza politica, perché i miei parenti vogliono che mi dedichi alla carriera diplomatica, – diss'egli con una punta di orgoglio, al rivelarle quello che erano i suoi studi, i quali indicavano una certa aristocrazia di nascita.


… Sarebbe una vergogna far aspettare qui questo povero cavallo…

     Yvonne finse di dare molta importanza alla cosa.
     – Perbacco! Allora ho l'onore di essere in compagnia di una futura personalità.
     Malgrado la leggera ironia, André si sentì incoraggiato a dire qualche cosa di più sul suo conto.
     – Quest'anno prenderò la laurea, poi, fra tre mesi, andrò in Africa…
     – Peccato! – esclamò Yvonne, che però si riprese subito. – Volevo dire, peccato che dobbiate andare in Africa con tutto quel caldo, d'estate. Naturalmente la vostra carriera va posta innanzi a tutto.
     La sua prima esclamazione non era sfuggita ad André, che con un certo orgoglio ne aveva anche compreso il senso. Ora era lui che avrebbe voluto sapere qualcosa sul conto di quella donna. Chi poteva mai essere quella bellissima ed elegantissima creatura che, con tanta disinvoltura lo aveva invitato a condursela a casa? Ricca doveva esserlo, poiché aveva una lussuosa automobile, un valletto, un abito che era uscite certamente da una grande sartoria, e l'unica gioia che portava, un anello, valeva un capitale sufficiente a far vivere, con i suoi redditi, agiatamente una piccola famiglia.
     – Mi accorgo di star parlando sempre io solo – le disse come scusandosi. – Ora che vi ho accennato al mio essere ed alle mie speranze per il futuro, parliamo un poco di voi, no?
     – Cosa volete? Sul mio conto c'è ben poco da dire. Quello che sono lo vedete: una buona e giovane donnina. Non troppo giovane né troppo buona, però, spero.
     Incoraggiato dalla semplicità con cui ella parlava. André le prese una mano e se la portò alle labbra, dicendo:
     – Voi siete la donna più giovane, più bella, più dolce, più affascinante che i abbia mai conosciuto…
     Ella sospirò. Ritrasse la mano, e disse, in modo da farsi appena udire:
     – Chissà?…
     Ora la vettura stava oltrepassando una lunga fila di carri carichi di provviste che giungendo dalla campagna, si dirigevano verso le Halles i giganteschi mercati coperti attorno a cui la vita ferve tutta la notte.
     A Yvonne venne un capriccio; come passavano dinanzi ad un caffè, volle scendere a far colazione, e André non trovò nulla da obbiettare. Si rincantucciarono ad un tavolino d'angolo, tra l'andirivieni dei facchini e dei mercanti; Yvonne volle assaggiare qualcuno di quei piatti robusti di cui quella gente si nutre, ed ordino un piatto di lumache. André fece lo stesso. A quell'ora gli timoli dell'appetito si potevano già risentire, dopo una notte bianca, senza vergogne. Poi risalirono nella vettura che in pochi istanti giunse alla Rue Carron, fermandosi dinanzi ad un'alta costruzione grigia, con il tetto spiovente, di lavagna.
     Una insegna appesa sull'uscio di strada avvertiva i passanti che quella casa ospitava una pensione dove si poteva ottenere vitto ed alloggio a prezzi abbastanza ragionevoli.
     – Ebbene, eccoci finalmente giunti! – esclamò Adré. – Non è certamente un palazzo incantato questo dove abito!
     – Non mi dispiace. Credo che ci possiate stare a vostro agio, – lo consolò Yvonne, mentre egli le porgeva una mano per aiutarlo a scendere dalla vettura.
     Il cocchiere si volse sul sedile, per quanto glielo potevano permettere i vari stracci che gli coprivano le gambe e il petto, e chiese:
     – Devo ancora aspettarvi, Monsieur?
     André stava per rispondere, quando Yvonne prese la parola in vece sua.
     – Sarebbe una vergogna fare aspettare qui questo povero cavallo che ha tanto bisogno di rientrare nella stalla, – disse, mentre un sorriso malizioso le errava sulle labbra e le illuminava il volto.
     André, confuso, aggrottò leggermente le sopracciglia, e si mise a frugare nelle tasche per trovare il denaro con cui pagare la corsa e mentre egli era così occupato, Yvonne esaminava con occhio curioso la facciata della vecchia casa.
     – André, ditemi qual è la finestra della vostra camera, – gli disse poi, quand'egli, licenziata la vettura, tornò a prenderla a braccetto.
     Sono le due all'ultimo piano, a destra.
     Come si ritrovarono nello stretto andito, imbiancato a calce e poveramente arredato, dove si sentiva aleggiare un grasso e pesante odor di cavoli e di cucina a buon mercato, Yvonne volse gli occhi ottorno, ma piuttosto che dar segni di disgusto per quello sciatte, sorrise con l'aspetto soddisfatto di chi prevede di stare per avere un'avventura interessante.


“Sareste disposto a farmi il piacere di riaccompagnarmi a casa?”

     – Bisogna far molto adagio, per non svegliare la portinaia, – le bisbigliò all'orecchio André.
     Yvonne sempre più divertita, gli rispose, con lo stesso basso tono di voce:
     – Perché è una brontolona?
     – Altro che brontolona! È peggio della peste!
     Si scambiarono un sorriso pieno di malizia e già anche di promesse, e allegri come due bambini si avviarono verso le scale in punta di piedi, badando a non fare nessun rumore. Al primo scalino Yvonne si fermò e guardò in su. Le scale pareva non dovessero finire mai. Si alzavano, da un pianerottolo all'altro fino al sesto cielo, stretto. perdendosi nel buio generosamente sparso su tutte le cose da una saggiamente economica illuminazione. Due sole lampadine, debolissime del resto, brillavano in tutta quell'oscurità, al secondo ed al quinto piano.
     – Ed e là che voi abitate? Proprio fin lassù, vicino alle nuvole?
     – Oh, sono solamente sei piani, – rispose egli allegramente.
     – Solamente sei piani? – gridò Yvonne spaventata da quell'ascensione. Ma poi, prendendolo per mano, soggiunse: – Ebbene su! Mi farà bene. Non ho più fatto nessuna ascensione da tre anni a questa parte, da quando cioéé, ho passata la mia ultima estate in montagna.
     Tenendosi per mano, cominciarono a salire allegri e felici come lo possono essere solamente due giovani che si stanno innamorando l'uno dell'altra.
     Quando giunsero al primo piano, un gattaccio nero, risvegliato all'improvviso, balzò loro tra le gambe, e si lanciò giù per le scale, spaventato.
     – Dicono che questo sia un segno di malaugurio, fece osservare gravemente André a Yvonne.
     – Non è vero, è segno, invece, di buona fortuna, – rispose ella continuando a camminare e tirandolo per la mano. Poi è da sciocchi quella di credere a queste cose. Il gatto si è spaventato perché ci ha visti arrivare all'improvviso.
     E di nuovo, pieni di felicità, ripresero a salire i consunti scalini. Era una scala vecchia, e gli scalini, piuttosto alti, stancarono presto Yvonne. Quando giunsero al secondo piano, ella gli disse di fermarsi un momento, perché voleva prender fiato.
     – Uff!… Non farei quest'ascensione per tutto l'oro del mondo, né per qualsiasi altro uomo…
     – È la prima volta che mi vedo costretto a rimpiangere che non vi sia un ascensore in questa casaccia.
     – Oh, poi, che cosa importa? Finirò bene per abituarmici… – disse Yvonne prendendo la cosa con rassegnazione. Ma, per quanto il tono con cui quella frase era stata pronunciata, ad André non sfuggì il significato di quell'osservazione.
     Salendo adagio adagio giunsero al quarto piano. Qui, dinanzi ad una porta, il lattivendolo ed il panettiere, già passati da qualche minuto, avevano lasciato una bottiglia di latte ed un pane:
     Yvonne li guardò e disse:
     – Abbiamo fratto tardi: E questo mi farebbe venir voglia di fare colazione, se non l'avessimo già fatta.
     – Vi offrirò una tazza di caffè quando saremo arrivati, – rispose André.
     Ma Yvonne, stanca di quelle scale, si appoggiò con la schiena alla ringhiera, respirando un poco affannosamente.
     – Datemi prima una sigaretta. –
     Egli gliene offerse una, accese un fiammifero, lo avvicinò alla punta della sigaretta che ella teneva fra le labbra, e le sue mani tremarono di nuovo, tanto che Yvonne dovette tenerle fra le sue.
     Da una finestra che dava luce alle scale, essi potevano, di dove si erano fermati, vedere che già l'alba arrossava i tetti di Parigi. Ella prese delicatamente la mano di André, e si appoggiò al suo petto, facendo riposare leggermente la testa sulla sua spalla.
     – È l'alba, – disse André, più per bisogno di dire qualche cosa che per altro.
     – Non ti sembra che vi sia qualcosa di magico e di affascinante nella prima alba che due innamorati vedono assieme? – chiese ella con voce bassa e dolcissima.
     Lentamente ripresero a salire gli ultimi due rami di scale. Col fiato mozzo e stanca per la notte trascorsa senza riposare, Yvonne sentiva una terribile stanchezza nelle gambe. Piegò lentamente i ginocchi, e si lasciò cadere seduta su di uno scalino, con le falde del suo elegante abito di velluto nella polvere.
     – Non posso fare un passo di più, André, – disse. – Sono troppo stanca.
     – Andiamo, – rispose il giovane, prendendole le mani e forzandola con dolce violenza ad alzarsi. Ti porterò io.
     Yvonne guardò in su. L'ultimo ramo di scale si perdeva nell'oscurità.
     – Non potrai mai più portarmi fin là.
     – Lo credi? – le chiese egli quasi in tono di sfida cingendola con le braccia.
     – Puoi davvero? – interrogò ella con un sussurro.
     André si curvò un poco e poi si raddrizzò, tenendola tra le braccia, appoggiata sul petto come una bambina addormentata. Ella posò dolcemente il capo sulla sua spalla, tutta pervasa di dolcezza. Il fiato, che le usciva caldo e rapido dalla bocca socchiusa, gli titillava il collo. Si sentì fiero della sua conquista e forte come un eroe.
     – Oh, André, come sei forte! – esclamò ella, sentendosi saldamente tenuta dal giovane che ricominciava a salire gli scalini uno da uno, lentamente ma di piè fermo. Poi soggiunse: – Mi trovi molto pesante?
     – Pesante? – chiese egli in tono di sfida e d'importanza. – Ti potrei portare su con un braccio solo!
     – No, per piacere, non ti ci provare… o, almeno, non ti ci provar adesso! Sai, mi piacerebbe vivere ancora un poco…
     Per quanto continuasse a salire, anche a lui, ora, con quel peso sulle braccia, la scale parevano più lunghe che mai, e più faticose di quanto avesse pensato.
     Parve che Yvonne lo intuisse, perché gli domandò, con voce dolce e carezzevole:
     – Ci sono ancora molti scalini, André?
     Ella teneva gli occhi socchiusi e la bocca semiaperta. Sul suo bellissimo volto era diffusa una indicibile espressione di beatitudine. Sull'ultimo pianerottolo egli si chinò, e la pose delicatamente a terra.
     Yvonne sospirò:
     – Oh… mi sembra di risvegliarmi da un dolcissimo sogno!
     André, lo guardò con occhi profondamente teneri, pieni di promesse, esclamando:
     – Povero André Ti ho fatto fare una sfacchinata. Perché non mi hai messa a terra prima? Qualche scalino avrei potuto farlo ancora…
     Trasse dalla borsetta un fazzoletto di pizzo, e gli asciugò la fronte.
     – Sei più riposato, adesso?
     André aveva già ripreso fiato, e le poté rispondere:
     – Completamente, cara.
     – Sai che cosa penso di te? – chiese ella. – Che sei un ragazzino: avevi bisogno di farmi vedere quanto sei forte. Non è forse vero?
     – Forse – ammise Andrè, arrossendo un poco.
     – Ebbene, tu me lo hai dimostrato, ed io ne sono veramente orgogliosa. Ecco
     Gli pose un braccio attorno alle spalle, e con lui si diresse alla porta della stanza in cui egli abitava. André l'aperse e la tenne spalancata perché ella entrasse. Poi, come la seguiva, chiudendo l'uscio, senti le morbide braccia della ragazza allacciargli il collo nella tiepida oscurità ed udì la sua voce sospirare:
     – André!
     – Yvonne!
     E le loro labbra si unirono in un lungo bacio.

( continua )

 

from:   Cinema Illustrazione,        24.02.1932
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